Essere se stessi, nel lavoro: conviene?

Alfonso Falanga, 28 settembre 2022


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Questo articolo ha come riferimento specifico il professionista della vendita, sia diretta che, ancora più in particolare, telefonica. Si tratta del settore con cui ho maggiore dimestichezza in qualità di formatore, pur ritenendo che la tematica sia estendibile anche ad altre attività.


Già ho avuto modo di toccare il tema della personalizzazione qui e qui: ritorno sull'argomento siccome reputo sempre utile riflettere sull'equilibrio tra la prospettiva professionale e quella personale e degli effetti di questo intreccio sulla performance sia del singolo professionista che di un team di lavoro.


"In linea generale, nel nostro immaginario sociale essere venditori è considerato tutto tranne che una vera professione: è intesa quale ripiego, ad esempio, o un vuoto esercizio di retorica ("la parlantina" del venditore), una prova di abilità e determinazione (il venditore come "lupo" nella foresta). È considerata questo e altro, fuorché un vero e proprio lavoro". 

-Che si intende per personalizzazione.

Con questo termine qui viene indicato un particolare orientamento cognitivo, emotivo e comportamentale che si palesa quando il professionista, nel caso specifico il Teleseller, affida l'esito della propria performance agli automatismi caratteriali e al proprio bagaglio esperienziale, più che a metodi e strategie. Al riguardo, è opportuno sottolineare che, così dicendo, non si intende sostenere che carattere, attitudini personali ed esperienze non abbiano valore: personalizzare significa, in modo particolare, contare esclusivamente su questi fattori mettendo da parte metodi e strategie.

Si tratta di una dinamica che trova le sue origini, per lo più, in fattori sia personali che socio-culturali. Vale la pena proseguire partendo proprio da questi ultimi.


-Vendere, nell'immaginario sociale.

In linea generale, nel nostro immaginario sociale essere venditori è considerato tutto tranne che una vera professione: è intesa quale ripiego, ad esempio, o un  esercizio retorico ("la parlantina" del venditore), una prova di abilità e determinazione (il venditore come "lupo" nella foresta e il cliente come preda). È considerata questo e altro, fuorché un vero e proprio lavoro.

È pur vero che tale prospettiva si è, negli anni, alquanto indebolita per quel che concerne la vendita diretta: resta radicata, però, in alcune circostanze, nel settore dei Call Center.

Se vendere un prodotto/servizio, particolarmente attraverso la comunicazione telefonica, non è inteso come una vera professione, un lavoro a tutti gli effetti, insomma, diventa consequenziale che si tratti di un'attività che non necessita di alcun processo di apprendimento se non quello relativo agli aspetti tecnico/commerciali di ciò che si propone al consumatore. In quest'ottica, la vendita non contempla dotarsi di un metodo strategico, così come accade in qualsiasi altra attività lavorativa: si reputano più che sufficienti le qualità personali, la motivazione, il "saperci fare" con le persone.


Nel rispetto di questa prospettiva, è inevitabile che il lavoro sia fortemente intrecciato con la "persona": non è una questione di tempi (tempo del lavoro vs tempo del privato, ad esempio) bensì di identità, ovvero l'identità personale coincide con quella professionale. Non è nemmeno una questione di "portarsi il lavoro a casa" bensì è il contrario: il rapporto di lavoro -che sia tra colleghi che con il cliente- viene percepito e declinato secondo i canoni relazionali che regolano la quotidianità.

L'affermazione di una tale prospettiva causa che:

-procedure e strategie siano ritenute superflue se non addirittura dannose. Viene intesa, in sostanza, inutile e sbagliata ogni indicazione e qualsiasi suggerimento (da parte del formatore, ad esempio) che esuli dall'esperienza personale e dall'orientamento caratteriale;

-ogni invito al cambiamento, riguardo alle strategie di approccio al consumatore, viene recepito come la messa in discussione della propria personalità e delle proprie esperienze, invece che essere considerato per quel che è, ossia l'aggiornamento di un segmento specifico del proprio comportamento (qui si riflette sulle resistenze verso la formazione vista come intervento giudicante su se stessi).



-Alcuni segnali della personalizzazione, relativamente al settore Call Center:

- gli "sfoghi" del Teleseller al termine di una telefonata, che abbia avuto successo o meno.

- telefonate troppo lunghe: quando i tempi sono dilatati, è irrilevante se la trattativa abbia o no avuto buon esito. Anzi, se si conclude positivamente, c'è il rischio che si rafforzi una cattiva abitudine: parlare più del necessario;

- domande al consumatore poste in modo brusco o indeciso;

- l'uso di un linguaggio convenzionale: ovvero il Teleseller si rivolge al suo interlocutore adoperando un linguaggio semi-confidenziale, come se si rivolgesse a un amico, a un conoscente, a chiunque che non sia qualcuno con cui voglia impostare una trattativa commerciale (nulla a che vedere con l'educazione: la personalizzazione non è "prendersi troppa confidenza");

- bruschi cambi di intonazione: segnale dell'emergere dell'emotività;

- a parità di risposta verbale del consumatore (ad esempio "Non mi interessa"), si interagisce con uno e ci si blocca con un altro (segnale che ci si relaziona in base a criteri di simpatia/antipatia).

- modalità compiacenti: ad esempio abuso del "posso...?", "potrei...?", del "quando posso chiamarla?" o "quando ha un momento libero?" e simili.


"La personalizzazione, per l'organismo dell'azienda, è un elemento tossico.  Lo svuota delle sue energie e potenzialità. E', insomma, un vero e proprio veleno".


-Effetti disfunzionali.

Sia chiaro che personalizzare non è che sia sbagliato per chissà quali motivi, ad esempio per questioni di principio o di eleganza stilistica, bensì in quanto costituisce. una dinamica con precisi esiti disfunzionali sulla performance del singolo Teleseller così come del gruppo. È una questione strategica, insomma, non di gusti personali.

Al riguardo, ecco una sintesi dei possibili e probabili effetti:

- produzione a elastico: ovvero risultati affidati alla casualità. E' alto il rischio che si verifichi la classica alternanza tra mese si e mese no, tra settimana positiva e settimana negativa, tra mese produttivo e mese insoddisfacente;

-stagnazione: la produzione a elastico è causa/effetto di uno stato di stagnazione. Tale è la condizione, valutata sul medio termine, in cui non c'è un significativo calo della produzione ma nemmeno un suo aumento. Non si alimenta la crescita del fatturato e, al contempo, il livello di competenza del gruppo si stabilisce su livelli medio-bassi. È, nel complesso, una situazione di stallo che, tra le altre cose, rende l'azienda particolarmente vulnerabile a imprevisti interni e esterni (mutamenti del mercato, arrivi di nuovi competitors, shock energetici).

- turn over oltre i livelli fisiologici: l'assenza di risultati che non siano causali, logoranti e intermittenti, conduce alla demotivazione, con alto rischio di abbandono.

-cali di autostima: quando si fa del proprio carattere, delle proprie attitudini ed esperienze gli strumenti privilegiati su cui poggiare il proprio metodo di lavoro e ci si blocca, non si sa come intervenire se non mettendo in discussione se stessi. Non avendo un metodo, dunque uno strumento esterno su cui agire, si finisce con il percepirsi inadeguati al compito. Sono i casi in cui il Teleseller si chiede "cosa non va in me?", "come mai improvvisamente non so più fare questo lavoro?". E non si trova una risposta se non nel dubitare fortemente di se stessi come professionista se non, addirittura, come persona.

È chiaro che ci si può bloccare anche seguendo un metodo fatto di regole, procedure, strategie ben specifiche. Il fatto è che in tal caso si sa su cosa intervenire, si sa cosa correggere: si tratterà, in sostanza, di modificare uno strumento che è esterno a se stessi. Sarà certamente impegnativo, ma altrettanto certamente meno debilitante sotto l'aspetto emotivo.


-Che fare, per il Team leader.

Intervenire nei confronti della personalizzazione, quando i suoi meccanismi sono ben radicati, è alquanto complicato..

Il miglior intervento è la prevenzione. In effetti, il motto "prevenire è meglio che curare" vale sempre, particolarmente in casi come questo. 

In che consiste la prevenzione nei confronti della personalizzazione?

1.Formazione in ingresso, orientata sull'affermazione di un linguaggio professionale che sostituisca il linguaggio convenzionale;

2.Formazione on the job, con integrazioni, approfondimenti, analisi di casi.

3.Monitoraggio e interventi in sala operativa.

A tutto questo fa da premessa che chi svolge il ruolo di Team Leader riconosca tempestivamente i segnali della personalizzazione e ne comprenda i possibili esiti disfunzionali.

La personalizzazione, per l'organismo dell'azienda, è un elemento tossico. Lo svuota delle sue energie e potenzialità. E', insomma, un vero e proprio veleno.


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