"Stai dicendo che fino ad ora abbiamo sbagliato tutto?": quando l'aula vive la formazione come un giudizio. Quali opzioni per il Formatore.

Alfonso Falanga, 6 settembre 2022.



"...attraverso "Stai dicendo che ...?", viene manifestata la prevedibile resistenza al cambiamento, che, anche quando riguardi un singolo comportamento (es. una strategia di approccio al cliente o di gestione delle risorse umane), spesso risulta vissuto, da chi è invitato a nuovi modelli d'azione, come una messa in discussione di una dimensione emotiva-cognitiva-comportamentale tanto vasta da abbracciare l'intera persona e la sua storia".

-La fatidica domanda.

Il compito del Formatore è, attraverso la trasmissione di conoscenze e saperi, favorire cambiamenti. È la sua mission. Il che significa non tanto invitare a radicali mutamenti di pensiero e di convinzioni bensì "semplicemente" facilitare, nei destinatari del suo intervento, lo svincolarsi dalle tradizionali zone di comfort per assumere comportamenti coerenti con nuovi contesti, nuove esigenze e rinnovati obiettivi.

Eppure, in aula, è frequente che si senta la domanda: Stai dicendo che fino ad ora abbiamo sbagliato tutto?


-Cosa è successo?

Dando per scontato che, in queste circostanze, il Formatore non si sia espresso con il piglio del giudice chiamato a sentenziare, che dunque quell'interrogativo non sia un segnale di protesta dell'aula verso un inopportuno autoritarismo, la fatidica domanda-obiezione indica che:

a. è stata toccata la profondità (emotiva-cognitiva-comportamentale) delle abitudini che regolano la quotidianità (aziendale, professionale);

b. l'aula ha vissuto la formazione come una messa in discussione delle esperienze pregresse fino ad essere percepita come una minaccia alla propria identità professionale e anche personale;

c. ovvero, attraverso "Stai dicendo che..?", viene manifestata la prevedibile e naturale resistenza al cambiamento che, anche quando ha come riferimento un singolo comportamento (es. una strategia di approccio al cliente o di gestione delle risorse umane), spesso risulta vissuto, da chi è invitato a nuovi modelli d'azione, come una messa in discussione di una dimensione emotiva-cognitiva-comportamentale tanto vasta da abbracciare l'intera persona e la sua storia;

d. la domanda non esprime (o non solo) una critica al contenuto dell'intervento formativo ma alla formazione nel suo complesso;

e. si afferma, attraverso essa, il principio "la teoria è teoria ma ciò che conta è la pratica" e il suo corollario "la teoria vale per gli altri ma non per me e per il mio lavoro, che è particolare".

Inoltre, è tipico che più l'aula ha bisogno di cambiamento più tali resistenze sono significative.


- O valore aggiunto o fonte di conflitti: da chi dipende?

È facilmente intuibile come "Stai dicendo che...?" costituisca un momento particolarmente sensibile dell'intero step formativo e ciò specialmente se espressa nella sua fase conclusiva, semmai nonostante il Formatore abbia, fin dall'inizio, ben definito gli obiettivi, le potenzialità e i limiti dell'intervento stesso. È la circostanza in cui l'evento o acquista ulteriore valore oppure rischia di tradursi in uno sterile e logorante insieme di scambi conflittuali.

Che la domanda in oggetto diventi un valore aggiunto alla efficacia dell'intervento, oppure ne decreti il fallimento, dipende dalla consapevolezza del Formatore:

  • delle emozioni che sperimenta in quel momento e delle convinzioni che le accompagnano. Il che si traduce nell' essere in grado di riconoscerle ed accettarle per quanto siano negative e svalutative riguardo a sé e all'aula;
  • del proprio ruolo e dell'obiettivo dell'intervento: il Formatore sa che si sta rivolgendo ad alcuni comportamenti, dunque specifici e circoscritti, e non a convinzioni personali e a strutture caratteriali;
  • del proprio valore professionale, che vuol dire  non aderire all'immagine negativa che l'aula, attraverso "Stai dicendo che...?", indirettamente sta inviando.

La stabilità di questi tre principi costituisce la sola condizione in cui diventa possibile elaborare una strategia comunicativa, dunque il "cosa dire", allo scopo di tradurre la domanda in materiale utile all'intervento. O, quantomeno, per evitare che da lì possa scaturire una comunicazione conflittuale tra Formatore e aula e, a volte, all'interno dell'aula stessa. La domanda, infatti, può anche produrre una frattura tra chi l'appoggia e chi sostiene, invece, che "C'è sempre da imparare" o "Non chiederlo a lui/lei, chiedilo all'azienda". 


"Un primo passo consiste nell'evitare di dare risposte quali un secco NO o un altrettanto secco SI. Oppure "Non ho detto questo" o, ancora, "Perché dici questo?". Evitare, inoltre, la chiamata a raccolta del tipo "Altri la pensano nello stesso modo?"."


-Quali opzioni, per il Formatore?

Un primo passo consiste nell'evitare di dare risposte quali un secco NO o un altrettanto secco SI. Oppure "Non ho detto questo" o, ancora, "Perché dici questo?". Evitare, inoltre, la chiamata a raccolta del tipo "Altri la pensano nello stesso modo?". Si tratta di modalità che alimentano la contrapposizione (sono giudizi indiretti sulla domanda stessa e su chi la espressa) e il blocco della comunicazione, trasferendola dal piano professionale a quello personale.



-Cosa dire, allora?

Ecco un'ipotesi di lavoro:

"Non siamo qui per correggere comportamenti sbagliati bensì per aggiungere strategie nuove a quelle già applicate. Con la formazione abbiamo aggiunto una freccia al nostro arco. Oggi siamo più forti di ieri perché, rispetto a ieri, abbiamo una risorsa in più".

Naturalmente possono essere elaborate altre modalità ma sempre al di là di ogni giudizio diretto o indiretto su di sé (sotto forma, ad esempio, di giustificazione) o sull'aula. A tale riguardo si ribadisce che qualsiasi strategia richiede come premessa la consapevolezza del Formatore della propria emotività (cosa provo e cosa penso), del proprio ruolo (chi sono io, adesso, e chi sono gli altri, adesso) e dell'obiettivo dell'intervento (perché siamo qui).

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