I due livelli della Formazione: dai macro-processi collettivi ai micro-processi individuali.

Alfonso Falanga, 03. 09. 2021.


"Perciò la formazione, per essere effettivamente un sostegno alle aziende nel loro percorso innovativo, al di là dei macro-discorsi, deve essere in grado di produrre contenuti e linguaggi che siano coerenti con le micro-realtà quotidiane delle singole persone per favorirne il passaggio da vecchie strategie a nuovi modelli comportamentali".


1. Dai macro-processi collettivi ai micro-processi individuali.

Ormai parole come "cambiamento" e "innovazione" fanno parte integrante di ogni discorso che riguardi il mondo delle imprese.

Il management aziendale, infatti, necessita di apprendere in tempi rapidi nuovi paradigmi organizzativi coerenti con le istanze del presente. L'obiettivo, insomma, è condurre l'organizzazione, nel suo insieme, lungo i binari dell'attualità.

Questo senza trascurare che un simile macro-percorso è il risultato della realizzazione di molteplici micro-percorsi in cui sono chiamati in causa le persone che, ognuna nel suo ruolo, operano all'interno dell'organizzazione. Dunque il macro-cambiamento, cioè il mutamento di rotta dell'impresa nel suo complesso, è generato da una serie di micro-cambiamenti tanti quanto sono coloro che lavorano in quell'impresa.

Perciò, quando si parla di innovazione, è necessario tenere conto che il macro-processo deve confrontarsi con le inevitabili resistenze al cambiamento presenti, per lo più, in ogni individuo anche lì dove ci sia consapevolezza dell'urgenza e dell'inevitabilità di un radicale cambio di prospettiva e di una definitiva messa in discussione delle precedenti modalità di lavoro.


2. Il ruolo della Formazione nei macro e nei micro-processi.

Per quel che concerne il ruolo della formazione, essa certamente costituisce un supporto al macro-cambiamento: sostiene il management nella definizione di obiettivi a medio e lungo termine, nell'individuazione di nuovi segmenti di mercato, nello studio dei modelli comportamentali dei potenziali clienti di riferimento, nella costruzione di una rinnovata cultura tecnologica, nell'elaborazione di moderne strategie di recruiting, ecc.

È altrettanto innegabile il suo fondamentale appoggio ai micro-processi innovativi che ogni persona, all'interno dell'organizzazione, deve intraprendere quotidianamente. Tale sostegno riguarda, in buona misura, oltre che la trasmissione di nuove conoscenze, il confronto tra l'individuo e la sua resistenza a svincolarsi dalle zone di comfort. Resistenza che, spesso, si traduce nella difficoltà non ad apprendere nuovi metodi di lavoro bensì, una volta appresi, a metterli in atto. In alcuni casi, anzi, nuove procedure e strategie suscitano in chi dovrebbe farne uso una vera e propria diffidenza. 

3. I pregiudizi che ostacolano il cambiamento.

I motivi di questi giudizi a-priori, che spesso non poggiano su alcuna esperienza pregressa, sono molteplici. Si tratta di:

  • scetticismo verso la teoria in genere in base al principio diffuso, quanto distorto, sintetizzabile nell'affermazione (che spesso aleggia nelle aule di formazione) "vabbè la teoria, ma la pratica è un'altra cosa". Qui non si vuole controbattere questa convinzione: si desidera soltanto aggiungere che la pratica, senza teoria, è un procedere per prove ed errori (il che non esclude che si debba pretendere dalla teoria una sua coerenza con la pratica, ossia con l'esperienza a cui essa è destinata e per la quale e nella quale deve produrre effetti utili e possibilmente immediati);
  • del pregiudizio che possiamo riassumere nel sentirsi unici, che a sua volta poggia sulla convinzione che "vabbè la teoria, ma a me capita tutt'altro. Quello che succede a me accade solo a me". Questo senso di esclusività ha come esito la svalutazione di ogni indicazione (anche il semplice suggerimento di un collega) che non sia riconducibile al proprio schema di riferimento;
  • del vivere ogni proposta innovativa come un giudizio/correttivo rispetto al proprio operato;
  • del sentire la proposta formativa come una messa in discussione della propria identità, non solo professionale;
  • del percepirla, dunque, come una minaccia.

4. I principi basici di una formazione coerente con l'attualità.

Perciò la formazione, per essere effettivamente un sostegno alle aziende nel loro percorso innovativo, al di là dei macro-discorsi, deve essere in grado di produrre contenuti e linguaggi che siano coerenti con le micro-realtà quotidiane delle singole persone per favorirne il passaggio da vecchie strategie a nuovi modelli comportamentali.

Al riguardo essa deve disporre di valide ipotesi di lavoro che poggino su principi quali:

  • il metodo, qualsiasi metodo, viene dall'esterno, dunque si apprende. È perciò distante dalle abitudini e dalla quotidianità.

Trasmissione e acquisizione del metodo costituiscono la parte teorica (il lavoro in aula) della formazione. La sua sperimentazione ne è la fase operativa. Aggiustamenti e rivisitazioni del metodo costituiscono il momento formativo teorico-esperienziale;

  • il metodo, pur in contatto con la dimensione personale, non ha a che fare con il carattere. È uno strumento che si utilizza per lavorare e che si deposita nella cassetta degli attrezzi dopo il lavoro. Pertanto sfatiamo il mito della crescita personale in azienda. In azienda si cresce professionalmente. Mutamenti caratteriali sono esiti di una combinazione di fattori interni ed esterni alla persona di cui l'elemento professionale, forse, ne è solo una parte;
  • come è stato accennato, il metodo non è difficile da apprendere bensì da applicare e ciò per questioni cognitive, già argomentate, e non intellettive o pratiche.

Questi principi costituiscono le premesse da cui ha origine l'attività quotidiana del formatore. L'aula è il luogo in cui essi si traducono (devono tradursi) in strumenti concreti di lavoro. Altrimenti la formazione rischia di diventare una scatola vuota, piena solo di retorica e ridondanza. E il formatore lascia il posto al form-attore.

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