Programmare per non regredire: la metafora della rana bollita in un’ottica analitico-transazionale.

"Programmare è la sola strada per non correre rischi di logorii e frustrazioni: mentre i numeri si mostrano subito, infatti, l'inefficienza tarda a rivelarsi. I suoi effetti si palesano, nel migliore dei casi, a medio termine. Sicuramente a lungo termine. Ovvero quando è troppo tardi per porre rimedio all'insufficienza del processo produttivo".


Alfonso Falanga, 22 maggio 2021


Ogni azione viene valutata in base a due parametri: efficacia ed efficienza.

L'efficacia è il grado di coerenza tra l'esito dell'azione e l'obiettivo dichiarato dell'azione stessa, oltre che con le intenzioni che l'hanno determinata. L'efficienza, invece, si riferisce all'entità delle energie materiali e immateriali impiegate nella realizzazione della meta.

L'abilità dell'agente, perciò, consiste non solo nel centrare il bersaglio bensì nel farlo adoperando una quota minima di energie.

Dunque si può essere efficaci e, allo stesso tempo, inefficienti: vale a dire che si può centrare il bersaglio e, in questo, sprecare più energie del necessario.

Certo è che ci sono circostanze in cui bisogna dare il tutto per tutto senza badare a spese: ma qui non ci riferiamo a tali momenti particolari.

Così come c'è modo di risultare efficienti e inefficaci: accade quando si adoperano energie quantitativamente e qualitativamente inadeguate allo scopo. Non ci si è stancati, insomma, ma l'obiettivo resta significativamente distante.


In azienda valgono i medesimi principi. In tale contesto l'efficacia può essere tradotta in numeri ossia nel risultato della performance (settimanale, mensile, trimestrale, ecc.). L'efficienza costituisce il costo pagato, in termini di risorse impiegate, per realizzare quell'esito.

La condizione auspicabile è quella il più vicino possibile all'equilibrio tra efficacia e efficienza: realizzare l'obiettivo, sì, ma evitando logorii. Così come è bene scongiurare eccessi energetici raggiungendo comunque la meta.

Proprio in azienda si verifica che, in alcuni casi, tale equilibrio venga infranto: accade quando l'energia (sotto forma di attenzione, tempo, conoscenze, competenze ecc.) è indirizzata esclusivamente verso i numeri. "Parlano i numeri", si dice spesso tra colleghi, o all'interno della struttura manageriale, quando si vuole attribuire un valore/giudizio alla performance appena conclusa o a quella ancora in corso.

"Aspettiamo i numeri", si dice altre volte, prima di assumere una decisione strategica nella convinzione (o con l'auspicio) che i numeri possano indicare scientificamente quale percorso intraprendere.


Il fatto è che i numeri non parlano bensì costituiscono una rappresentazione schematica, quantunque ben definita, della realtà.

I numeri parlano, semmai, solo se ben interrogati. Se ad essi vengono poste le giuste domande. Se li si contestualizza.

Essi, perciò, costituiscono l'esito di un procedimento analitico per poi diventare la premessa ad una successiva indagine, quella che conduce ad elaborare gli strumenti materiali e immateriali utili a rendere efficaci ed efficienti le performance future. Dunque i risultati sono funzionali non a spiegare l'accaduto (essi ne sono soltanto una raffigurazione) bensì a programmare gli interventi operativi necessari per:

  • rielaborare le strategie utilizzate fino a quel punto qualora la performance risulti insoddisfacente;
  • rinforzarle, se i numeri sono quelli attesi;
  • individuare nuovi obiettivi e definire quali e quante risorse utilizzare allo scopo.

In quest'ottica la programmazione è funzionale non a fare i numeri, dunque all'efficacia, bensì serve all'efficienza o, che è la stessa cosa, a ridurre i rischi dell'inefficienza.



Programmare è la sola strada per non correre rischi di logorii e frustrazioni: mentre i numeri si mostrano subito, infatti, l'inefficienza tarda a rivelarsi. I suoi effetti si palesano, nel migliore dei casi, a medio termine. Sicuramente a lungo termine. Ovvero quando è troppo tardi per porre rimedio all'insufficienza del processo produttivo. Per cui, a medio e lungo termine, l'inefficienza si traduce inevitabilmente in inefficacia: ovvero accade che non ci siano più energie non solo per procedere verso l'obiettivo ma anche per non regredire. Per non soccombere.

In questi casi il destino dell'organizzazione è molto simile a quello della rana a cui fa cenno Noam Chomsky 1). Lo studioso, attraverso la metafora del povero animaletto che vorrebbe uscire dal pentolone di acqua sempre più calda e che ormai non ha più energie per farlo, spiega i rischi dell'adattamento passivo che corrono individui e interi popoli quando non reagiscono in tempo a situazioni di disagio. Quando non riconoscono i segnali che annunciano il problema (la rana non si sarebbe mai immersa in un pentolone di acqua già bollente), oppure quando li riconoscono ma ne sottovalutano gli effetti. O, ancora, quando sono consapevoli della criticità e dei suoi esiti ma si ritengono incapaci a reagire. Nel momento che le condizioni diventano insostenibili vorrebbero pure farlo, ma è troppo tardi. Prevale la stanchezza, la confusione e la frustrazione. Ormai mancano le energie. Non resta, purtroppo, che bollire.


Individui e organizzazioni (e intere collettività) in quest'ottica percorrono quella che in Analisi Transazionale è definita la matrice delle svalutazioni, così sintetizzabile:

" 1. Viene svalutata l'esistenza stessa degli stimoli, dei problemi e delle alternative.

....................................................................................................

2. Può essere svalutata l'importanza di uno stimolo, problema o alternativa. Questo è il caso di individui che sono consapevoli dello stimolo, del problema, dell'alternativa, ma ne minimizzano o ne interpretano male il valore o la pertinenza rispetto alla situazione, a se stessi o agli altri.

3. Possono essere svalutate le possibilità di cambiamento correlate allo stimolo, al problema, all'alternativa.

......................................................................................................

4. Può essere svalutato il fatto che una certa persona (sé o altri) possa fare qualcosa di differente o di efficace: gli individui, cioè, possono svalutare la capacità propria o altrui di reagire differentemente agli stimoli, a risolvere i problemi, ad agire un'alternativa"2).


"Realizzare i numeri, dunque l'efficacia, ha diverse vie di accesso. A volte anche qualche scorciatoia.

Ma l'efficienza - che è poi la variabile che svela la qualità effettiva di quei numeri e la possibilità, o meno, di riproporli nel tempo - ha una sola via percorribile: la programmazione".



In questa prospettiva la programmazione implica che siano chiari:

  • il punto di partenza, ovvero qual è la condizione che si vuole modificare;
  • i motivi reali che spingono al cambiamento, dunque qual è la minaccia;
  • la meta e perché è proprio questa e non un'altra;
  • le risorse materiali e immateriali (anche il tempo) di cui si dispone;
  • l'evento che sarà il segnale dell'avvenuto cambiamento, dunque della realizzazione dell'obiettivo;
  • gli effetti a medio e lungo termine del cambiamento sia all'interno dell'organizzazione che nei suoi rapporti con l'esterno (per quanto possa valere una previsione);
  • il grado accettabile di distanza tra l'obiettivo dichiarato e quello effettivamente raggiunto.

La programmazione, inoltre, richiede:

  • distinguere l'obiettivo del cambiamento dal desiderio di cambiare;
  • individuare i bias che distorcono la visione dell'effettiva condizione di partenza, delle risorse disponibili, dell'obiettivo programmato.

La programmazione, perciò, è una sorta di gioco di specchi dove ogni azione rinvia ad un'altra. Programmare è un intreccio ma non una ragnatela: bisogna seguirne i fili, senza trascurarne nemmeno uno. Ed è un percorso necessario: ogni obiettivo, senza un piano di azione, resta un desiderio 3) che rinvia la sua realizzazione verso un futuro sempre al di là da venire. Un futuro dove la sola certezza sono logorio e frustrazione.

Realizzare i numeri, dunque l'efficacia, ha diverse vie di accesso. A volte anche qualche scorciatoia.

Ma l'efficienza - che è poi la variabile che svela la qualità effettiva di quei numeri e la possibilità, o meno, di riproporli nel tempo - ha una sola via percorribile: la programmazione.


  • 1. La metafora della rana bollita in genere si associa al nome di Chomsky data la notorietà dello studioso statunitense. Resta il fatto che l'allegoria del povero anfibio è presente da tempo immemore in filosofia, psicologia, economia.
  • 2. Jacqui Lee Schiff, Analisi Transazionale e cura delle psicosi, Astrolabio, Roma, 1980, pp. 25-26.
  • 3. L'aforisma "Un obiettivo senza un piano è solo un desiderio" è attribuito a Antoine de Saint Exupéry, l'autore de "Il Piccolo Principe".

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