LA GESTIONE DELLA COMPLESSITÀ

Eppure, a volte, pare che tale complessità venga negata proprio nel momento in cui essa più si palesa per assegnare, invece, ad evento unico l'origine di tutti gli altri eventi.

Un recente esempio è l'attribuire al reddito di cittadinanza la difficoltà che alcuni settori aziendali incontrano nel reperire personale. Non è certo questa la sede per argomentare sulla validità o meno di questa misura in termini economici né politico-sociali. Si vuole porre l'attenzione, invece, sulla funzionalità o disfunzionalità del conferire ad un solo specifico evento l'origine di una criticità, con ciò che ne consegue riguardo alle scelte strategiche adottate dal management per risolvere proprio quella criticità.

  1. La parola d'ordine del management: gestire la complessità.
  2. Quando la complessità viene negata per fare spazio all'evento unico.
  3. Che significa, in concreto, gestire la complessità?
  4. I tre momenti della gestione della complessità.

1. La parola d'ordine del management: gestire la complessità.

È noto che, da qualche decennio, il mondo delle imprese vive una forte accelerazione in merito ai processi produttivi e decisionali, con ciò che ne consegue in termini di gestione delle Risorse Umane, strategia di marketing e di vendita,  recruiting, rapporti con l'ambiente esterno, acquisizione di nuove competenze, ecc. Tale accelerazione, nei fatti tradotta in repentini adattamenti a contesti socio-economici sempre più fluidi e mutevoli, in questi ultimi mesi è stata resa ancora più evidente dall'emergenza sanitaria e dai suoi effetti sul mondo del lavoro.

Insomma, nel recente passato, così anche nel presente e in un prossimo futuro, la parola d'ordine del management aziendale è stata e sarà "gestire la complessità", sintesi dell'adottare l'atteggiamento mentale e le capacità tecniche e strategiche necessari per farsi strada tra le molteplici variabili- locali e globali- che agitano le acque in cui naviga l'azienda.


2. Quando la complessità viene negata per fare spazio all'evento unico.

Eppure, a volte, pare che tale complessità venga negata proprio nel momento in cui essa più si palesa per assegnare, invece, ad un evento unico l'origine di tutti gli altri eventi.

Un recente esempio è l'attribuire al reddito di cittadinanza la difficoltà che alcuni settori produttivi incontrano nel reperire personale. Non è certo questa la sede per argomentare sulla validità o meno di questa misura assistenziale in termini economici né politico-sociali. Si vuole porre l'attenzione, invece, sulla funzionalità o disfunzionalità del conferire ad un solo specifico evento l'origine di una criticità, con ciò che ne consegue riguardo alle scelte strategiche adottate dal management per risolvere proprio quella criticità.

Esiste, in realtà, un fatto così distinto dagli altri? La domanda è evidente che sottende un dubbio sulla consistenza di una causa unica e primaria. Allo stesso tempo con ciò non si vuole intendere che, alla fine, quel che determina gli avvenimenti sia (soltanto) il caso. Si vuole, invece, riflettere sull'ipotesi che a generare gli eventi, che siano macro o micro, concorra un insieme di variabili ognuna con il suo peso e, forse e a volte, almeno in una particolare circostanza qualcuna più significativa rispetto alle altre. Su una di esse, allora, varrà la pena porre l'accento ma senza trascurare le sue connessioni con altri fatti, ugualmente significativi..


3. Che significa, in concreto, gestire la complessità?

Se così stanno le cose, allora, qual è il ruolo del manager?

Verrebbe da rispondere che il suo ruolo e i suoi compiti si declinano nella gestione quotidiana, appunto, della complessità, intendendo con questa denominazione l'intreccio di molteplici eventi interni ed esterni all'impresa.

Si tratta di vicende di varia natura, che riguardano le persone che lavorano in azienda (avvenimenti per lo più segnati da fattori emotivi ed etici) e che si riferiscono all'ambiente esterno: fatti economici, politici, sanitari e dalle dimensioni locali e/o globali.

A questo punto diventa lecito chiedersi: che significa, in concreto, gestione della complessità? Procedere attraverso compromessi? Accontentare un po' uno e un po' l'altro? Fare della diplomazia? Oppure sintetizzare? Semplificare?

Qui ipotizziamo che esistano più forme di gestione della complessità per quel che riguarda ruolo e compiti del manager e di chiunque si trovi, in una organizzazione, ad assumere una posizione dirigenziale:

1. integrare le diverse istanze di cui sono portatori i diversi soggetti che, con ruoli e competenze specifiche, lavorano in azienda;

2. integrare gli stimoli ambientali con i processi interni (esempio i mutamenti socio-economici dovuti alla pandemia con le problematiche inerenti il recruiting);

3. combinare le diverse prospettive attraverso cui è possibile interpretare un dato evento significativo ai fini dell'efficacia, ed efficienza, dei processi produttivi e della qualità delle relazioni aziendali interne ed esterne (esempio come valutare l'impatto effettivo del re.

È sottinteso come questa tripartizione abbia più che altro funzioni esplicative e descrittive. In realtà i tre momenti sono spesso intrecciati tra loro.


4. I tre momenti della gestione della complessità.

Volendo distinguere, il primo punto riguarda la funzione del manager in quanto leader e, al riguardo, la sua capacità di orientare il gruppo di lavoro verso un obiettivo comune, coincidente con l'obiettivo aziendale. Vuol dire, dunque, bilanciare l'elemento collettivo con le molteplici mete personali.

Questa dimensione chiama in causa prevalentemente la comunicazione, con ciò intendendo l'attitudine del leader al porsi in ascolto e all'essere assertivo, il tutto evitando di scivolare in atteggiamenti o autoritari o compiacenti. Ciò non (non solo) per questioni etiche ma di pura funzionalità: le modalità aggressive o accondiscendenti non funzionano ai fini della realizzazione dell'obiettivo finale.

Il 2° punto ha come riferimento le capacità di scelta strategica del management, quando questa si declina nell'assumere decisioni attraverso l'interpretazione di fattori esterni e di variabili interne nonché degli effetti derivanti dalla loro interazione. Non sono pochi gli strumenti metodologici a disposizione del manager a tale riguardo: uno, ad esempio, è la matrice SWOT. 1)

Il 3° punto chiama in causa i parametri di riferimento che il manager assume per interpretare gli eventi e ciò al fine di sciogliere i nodi del presente, di comprendere quelli del passato, di programmare le soluzioni future.

È a questo livello che entrano in gioco convinzioni, giudizi e pre-giudizi (i cosiddetti bias), tra cui, appunto, ritenere che i fatti siano generati da un evento singolo e significativo (la causa primaria).

È vero, come si è già accennato, che i tre livelli sono tra loro fortemente connessi. Resta il fatto che è in questa dimensione- quella interpretativa- che, spesso, l'azienda si gioca il suo presente ed il suo futuro.

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