“Un obiettivo senza un piano è solo un desiderio”. Antoine de Saint Exupéry.
L'obiettivo personale: come evitare lo stop and go-1° parte.
"Succedono eventi simili anche in azienda. Il segnale più significativo di questa dinamica perversa è il singolo professionista che realizza una produzione "ad elastico": un mese va bene, il successivo meno bene. Poi ci riprende, per poi nuovamente adagiarsi, regredire e di nuovo riprendersi.
In riferimento al contesto aziendale, cos'è che manca in questi casi? Conoscenze? Competenze? Strumenti? Volontà? Motivazione? Forse":
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Questo particolare momento della nostra vita, segnato da una crisi sanitaria che diventa sempre più crisi sociale ed economica, è governato dal principio dello stop and go: nel momento in cui le cose vanno male ci fermiamo finché la situazione non si stabilizza, per poi arrestarci di nuovo in quanto, in quello stesso miglioramento e senza che nulla cambi nella gestione della crisi, si annidano le premesse per un nuovo stop.
E così via lungo un percorso rischioso e logorante.
Qualcosa di simile accade, a volte, anche nello sport, quando un singolo atleta o una squadra ottengono buoni risultati: poi ci si adagia e, lentamente ma progressivamente, si retrocede. Si regredisce. Allora ci si scuote, ci si impegna ed ecco nuovamente il risultato positivo: il fatto è che in esso, se non c'è riflessione e messa in discussione delle metodologie di allenamento e delle strategie di gara adottate fino a quel momento, già sono incluse le origini di un nuovo stop. Che arriva, puntuale. E riprende il circuito vizioso dell'obiettivo via da ... Via dall'insuccesso e non, come dovrebbe, verso il successo.
Succedono eventi simili anche in azienda. Il segnale più significativo di questa dinamica perversa è il singolo professionista che realizza una produzione "ad elastico": un mese va bene, il successivo meno bene. Poi ci riprende, per poi nuovamente adagiarsi, regredire e di nuovo riprendersi.
In riferimento al contesto aziendale, cos'è che manca in questi casi? Conoscenze? Competenze? Strumenti? Volontà? Motivazione? Forse.
Quello che è assente, il più delle volte, è l'obiettivo personale.
Eppure in azienda non si fa che parlare di obiettivi e, in particolare, di quelli personali. Alla loro realizzazione sono finalizzati formazione, innovazioni tecnologiche, retribuzioni soddisfacenti e quant'altro alimenti la cosiddetta spinta motivazionale del singolo professionista così come dell'intero team.
Per proseguire ed evitare confusioni, allora, è opportuno chiedersi che cosa qui intendiamo per obiettivo personale.
Tale denominazione non si riferisce a qualcosa che vada a coincidere né con l'obiettivo aziendale né con il motivo personale. Quest'ultima definizione è indicativa della ragione pura e semplice per cui, ogni giorno, il professionista fa il suo ingresso in azienda: può consistere nel guadagnare lo stipendio così come altro genere di motivo immateriale riferito alla storia personale (ad esempio dare un senso alla propria vita o, più semplicemente, alla propria giornata, o mostrare a se stessi o ad altri di avere un valore).
Dunque l'obiettivo personale non è solo un numero (ad esempio, nel caso di un venditore, la quantità di contratti da realizzare in una settimana o nell'arco del mese) bensì rappresenta un progetto che si costruisce giorno per giorno. È fatto di numeri, certo, ma anche di professionalità e di livelli di autostima.
Una ulteriore differenza è che, mentre l'obiettivo aziendale è a breve termine e perciò costituisce una spinta limitata nel tempo, l'obiettivo personale è a breve, medio e lungo termine. Si tratta di una fonte inesauribile di energia.
L'obiettivo aziendale, poi, certamente è esito di una serie di valutazioni da parte del management e che viene trasferito al team o al singolo professionista. In ogni caso si tratta di un parametro stabilito in modo alquanto definitivo, seppur limitato ad un preciso arco temporale, e che il soggetto (individuo o collettivo) riceve dall'esterno.
L'obiettivo personale invece richiede programmazione e monitoraggio costanti, con il coinvolgimento pieno e continuativo del soggetto interessato.
Per programmazione intendiamo una procedura che si sviluppa in due direzioni: elaborazione di un piano di azione ed elaborazione di un diario di training.
La costruzione del piano di azione assume come riferimento il titolo di un paragrafo de "I sette pilastri del successo" di Stephen R. Covey e precisamente "Cosa significa «Comincia pensando dalla fine»".
Il passaggio più significativo, per quel che qui ci riguarda, è:
"Cominciare pensando dalla fine significa cominciare con una chiara comprensione della nostra destinazione. Significa sapere dove siamo diretti, così da capire meglio dove ci troviamo ora e far sì che i passi da noi compiuti siano sempre nella direzione giusta". 1)
Volendo aderire a questa indicazione il primo passo per realizzare un piano di azione è fissare una meta a medio termine, ad esempio due mesi, tipo marzo + aprile. E che sia una meta chiara, definita una volta per tutte e che, per quanto ambiziosa sia, risulti coerente con le risorse materiali ed immateriali di cui si dispone.
Dopodiché si procede a ritroso, definendo, step by step, gli obiettivi (o priorità) e le attività da svolgere ai fini della loro realizzazione.
Ne deriva uno schema di questo tipo (i valori riportati ovviamente sono simbolici):
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Il piano di azione viene accompagnato da un diario di training che, invece, si sviluppa secondo un andamento progressivo.
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Sia per il piano di azione che per il diario di training vale la regola che la programmazione si sviluppa lungo due mesi: perciò, assumendo come riferimento gli esempi precedenti, già al 31 marzo si elabora la tabella inerente maggio. Al 30 maggio si costruisce già la griglia di giugno. E così via.
Fine 1° parte.
1. S. R. Covey, I sette pilastri del successo, Bompiani, Milano, 1998, p. 120.