Nei momenti di burrasca lo scopo è il faro che ci orienta verso l'approdo.

Lo scopo: il ponte tra il nostro privato e la professione che abbiamo scelto (o che ci ha scelto).


"Consideriamolo un viaggio dentro di sé, alla ricerca di un qualcosa che ci fa sentire capaci di produrre cambiamenti, contribuendo a scenari più grandi di noi. Per questo il purpose non è innato, ma in continua evoluzione. Va cercato, costruito, può cambiare volto nel corso del tempo e a seconda dei contesti in cui viviamo."
Consuelo Sironi, Giulio Xhaët, Chi voglio essere, non cosa voglio fare: l'importanza del purpose personale, ilsole24ore.com, 9 marzo 2021.



In un precedente articolo suggerivo l'utilità per il professionista, così come per un team di lavoro, di andare oltre l'obiettivo fissato dal management (ad esempio, per il settore vendita, un tot. numero di contratti in un mese) per orientarsi, invece, verso una meta più specificamente personale, stabilita a medio termine (esempio due/tre mesi) e inclusiva di priorità sia inerenti la dimensione professionale che quella più strettamente privata. Un modo per svincolarsi dall'ossessione dell'obiettivo aziendale, dunque, proprio per alimentare le opportunità di realizzarlo con efficacia, efficienza e persistenza.

Eppure nei momenti di incertezza diventa difficile mantenere la barra del timone dritta verso la meta. Si è coscienti che è necessario rivedere gli obiettivi, che ciò che si era programmato non è più proponibile o almeno non nei termini per cui ci si era organizzati. Anche rivolgersi ad un obiettivo personalizzato, più che restare intrappolati nella routine del risultato aziendale, potrebbe non bastare quando il senso di incertezza offusca le proprie capacità percettive e decisionali. La spinta ad agire alla giornata si fa sentire.

Il professionista, però, sa che una strategia è necessaria. Lo è ancora di più nei momenti critici. Resta da capire, perciò, come conciliare gli obiettivi a breve termine (alla giornata) con quelli a medio e lungo termine.


Per uscire da questa impasse, più che concentrarsi sugli obiettivi, può risultare utile recuperare lo scopo da cui, e per cui, quelle stesse mete hanno avuto origine. A volte consapevolmente, altre volte si è trattato di scelte di cui ci si è resi conto a cose fatte. Scelte per modo di dire, insomma. Quasi che, più che avere deciso quale strada intraprendere, sia stata la strada stessa a proporsi a noi.

Allora diventa opportuno interrogarsi sulle differenze tra obiettivo, che sia a breve o medio oppure a lungo termine, e scopo. E se c'è correlazione tra scopo e motivo. E se scopo equivalga a mission.

Cominciamo dal motivo, che qui equipariamo al bisogno primario di cui parla Abraham Maslow, ovvero la spinta originaria che conduce un individuo a intraprendere una data attività: fare soldi, portare a casa lo stipendio, oppure, scalando di qualche gradino la piramide motivazionale maslowiana, conoscere persone, dunque soddisfare un bisogno di appartenenza, o mostrare a se stessi o ad altri di avere un valore e dare così ristoro al bisogno di stima e autostima. (1)

In questa prospettiva anche un'organizzazione nasce per appagare bisogni: si tratta di istanze a cui individualmente non si potrebbe dare risposta. Non è solo una questione quantitativa ma anche, soprattutto, qualitativa: l'organizzazione è uno spazio culturale, sociale e materiale dove le conoscenze e le esperienze degli individui hanno modo di essere riconosciuti, accolti e valorizzati ai fini della realizzazione sia di mete personali che di obiettivi condivisi. (2)

In questa prospettiva scopo non coincide con motivo: certamente ne fa una solida base di partenza. Lo include. Ma va oltre.

Tantomeno lo scopo si esaurisce negli obiettivi. Già abbiamo accennato al fatto che il primo è la ragione d'essere degli obiettivi stessi e di qualsiasi genere essi siano.


"Lo scopo, dal canto suo, è l'espressione del legame indissolubile tra la sfera privata e il lavoro che si è scelto o, perché no, da cui si è stati scelti.

Lo scopo non ha origine con la professione. Esso è avvolgente: è il prima, il durante, il dopo: è presente e attivo nella persona prima ancora che nella sua mente ci sia qualche accenno al progetto professionale".


Il concetto di scopo, semmai, è più vicino a quello di mission. Per tale intendiamo la dichiarazione dì intenti attraverso cui una organizzazione, o anche il singolo quando si descrive come professionista, afferma la sua ragione d'essere e i valori etici che la sostengono.

La mission, in genere, parla del presente e del futuro e lo fa in termini che rinviano principalmente al mondo del lavoro e delle professioni. Con forti agganci al sociale, a volte. Altre volte vi fa capolino anche la dimensione personale (del professionista, del manager, del fondatore dell'impresa).

Lo scopo, dal canto suo, è l'espressione del legame indissolubile tra la sfera privata e il lavoro che si è scelto o, perché no, da cui si è stati scelti: non ha origine con la professione. Esso è avvolgente: è il prima, il durante, il dopo: è presente e attivo nella persona prima ancora che nella sua mente ci sia qualche accenno al progetto professionale. E' lì, attende solo di prendere forma. Certo, dovrà fare i conti con tutte quelle variabili che fanno parte dello scenario privato e di quello sociale in cui la persona agisce (la vita vera), quegli elementi su cui non sempre si ha potere di intervento e che a volte rallentano, deviano, ostacolano fortemente la realizzazione delle mete.

Lo scopo è una sorta di script che ognuno segue per disegnare la propria vita. Si poggia su una decisione originaria che riguarda il privato, il sociale, il lavoro: in essa trova senso l'agire di ognuno in ogni ambito della sua esistenza.

In tal senso scopo è vicino al concetto di copione di cui parla Eric Berne. (3)


Se il copione berniano è, per lo più, inteso come la gabbia in cui l'individuo rinchiude i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue opportunità di scelta, lo scopo è ciò che l'individuo decide di fare una volta uscito dalla gabbia.

Se lo script di cui parla Eric Berne è bloccante, lo scopo è liberatorio.

Abbiamo modo di riconoscerlo e sentirlo fortemente in noi rispondendo ad alcune domande:

  • quali sono le emozioni che, in prevalenza, provo quando lavoro?
  • in quali altre occasione, nel corso delle mie giornate, provo le medesime emozioni?
  • quali pensieri -su di me e sugli altri- si accompagnano ad esse, sia quando lavoro che in altri momenti?
  • in che modo la mia professione si collega agli altri aspetti della mia vita? Quale è la misura della coerenza tra la professione e il resto?
  • quali sono le rinunce a cui il mio lavoro mi obbliga? E cosa ottengo in cambio di simili concessioni?

Queste, ed altri quesiti riguardo al medesimo tema, costituiscono un progetto che si rinnova ogni giorno e che ci permette di mantenere la barra del timone dritta verso la meta anche nei momenti di burrasca.

Gli obiettivi sono le insenature in cui troviamo riparo.

Lo scopo è il faro che ci permette di individuarle e di raggiungerle.


1. Cfr. Maslow A., Motivazione e personalità, Armando, Roma, 2010.

2. Cfr. Hatch, M. J., Teoria dell'organizzazione, Bologna, Il Mulino, Bologna, 1999.

3. Cfr. Berne E., «Ciao!» ... E poi? La psicologia del destino umano, Bompiani, Milano, 1994.

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