L’ingrediente per una mentalità vincente: la consapevolezza.

Alfonso Falanga, 11/03/2022


"... possiamo concludere che la mentalità vincente appartiene a chi non si affida al caso, a chi non ricorre alle risposte più immediate, quelle più semplici da produrre ma che non necessariamente sono le più idonee a centrare il bersaglio.

La mentalità vincente implica l'abbandono delle cosiddette zone di comfort: è un condensato di consapevolezza, che è il contrario dell'agire per automatismi."


"Mentalità vincente": un'espressione che, da sola, significa tutto e niente. C'è forse qualcuno che preferisce una mentalità perdente? E poi, viene prima del risultato? Ovvero, è la mentalità vincente che fa vincere oppure prima si vince e poi, di conseguenza, la mentalità diventa vincente? Ha a che fare con la fiducia in sé stessi? Con la motivazione?

Il suo valore, insomma, dipende dall'uso che se ne fa: a quali scopi si adopera, in quale contesto si colloca, chi è che ne fa uso. Si tratta di un modo di dire che, in base a queste variabili, può ridursi a mero slogan motivazionale (fuffa, insomma) oppure acquista valore ed è utile a "capire" e a "fare".


-Un punto di vista.

La mia prospettiva al riguardo è:

1. la mentalità vincente è di chi vince. Ovvero, si costruisce passo per passo, vincendo.

Intendo dire che, fermo restando il valore della motivazione, della fiducia in se stessi ecc., prima viene il risultato positivo e poi la mentalità. Collocandola prima del risultato si riduce il tutto a un semplice atteggiamento ottimistico. Nulla di più e niente di meno. Non guasta, certo, ma è tutto lì.

2. la mentalità vincente richiede la definizione del contesto. Perciò, prima ancora di rispondere alla domanda "che significa mentalità vincente?" dobbiamo porci altri quesiti e cioè "che significa vincere?", ovvero "vincere rispetto a cosa"? Quando, si vince o si dovrebbe vincere? Ad esempio, oggi, in uno scenario segnato da pandemia e da guerre, dunque fortemente imprevedibile e mutevole, con sollecitazioni emotive forse tra le più acute dell'ultimo trentennio, che significa "vincere" a livello individuale o professionale? E un'azienda, in tale contesto, quand'è che vince?

3. la mentalità vincente è di chi vince. La mentalità vincente, perciò, è di chi si è dotato degli strumenti per centrare il bersaglio. Che si tratti di un singolo individuo o di un gruppo. Quali sono questi strumenti?


4. gli strumenti per vincere (sintetizzando):

  • competenza: sapere cosa fare e come farlo.
  • conoscenze: essere ben informati sui contenuti del cosa in tutta la loro complessità.
  • chiarezza degli obiettivi: essere in grado di distinguere tra obiettivo, motivo, desiderio.
  • pianificazione: una volta fissata la meta, saper disporre le tappe da raggiungere per approdare, infine, a quella meta.

5. riassumendo, lo strumento per vincere è la consapevolezza. Che vuol dire:

  • pur proiettandosi nel futuro, essere nel qui ed ora. Dunque, avere ben chiaro il contesto - interno ed esterno - in cui si agisce. Ciò vale per il singolo quanto per un'organizzazione.
  • disporre di strategie, ossia non affidarsi agli automatismi.

-Concludendo ...

La mentalità vincente appartiene a chi non si affida al caso, a chi non ricorre alle risposte più immediate, quelle più semplici da produrre ma che non necessariamente sono le più idonee a centrare il bersaglio.

La mentalità vincente implica l'abbandono delle cosiddette zone di comfort: è un condensato di consapevolezza, che è il contrario dell'agire per automatismi.

Gli automatismi non sempre sono inefficaci, ma costituiscono uno spreco di risorse cognitive, emotive e comportamentali. Se non funzionano, non si sa come intervenire: se è un automatismo, sfugge al controllo della razionalità. Se funziona, non è riproducibile se non, appunto, come automatismo, cioè fuori dalla volontà. In sintesi, non può tradursi in metodo, in strategia, in strumento utile a centrare il bersaglio.

 Affidarsi agli automatismi è come mettere il risultato delle proprie azioni nelle mani di un estraneo, qualcuno su cui non si ha alcun potere di intervento. Ci si affida, cioè, alla sorte.

Chi lo farebbe mai? Nella buona sorte ci si spera, ovviamente, ma la si assume come riferimento per portare a termine un compito?

Eppure, anche se non ci affideremmo mai - almeno non del tutto - al caso, sappiamo bene quanto sia difficile svincolarsi dai propri automatismi e acquisire consapevolezza. A volte, anzi, si vive la consapevolezza come estranea, quasi come se fosse una minaccia all'essere se stessi. Dimenticando come proprio il trincerarsi in questo  se stessi è  a volte fonte di inefficacia ed inefficienza. E questo è un altro discorso ...

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