Dire "Ho sbagliato" o "E' tutta colpa mia" non risolve i problemi: la strategia degli alibi si infrange sempre contro la realtà. 

"Gran parte della resistenza ad intraprendere percorsi diversi dai soliti è originata dal fatto che cambiare vuol dire, in buona misura, partire proprio dalla riflessione sugli errori commessi". 


Quando siamo con gli altri gran parte del nostro tempo è impiegato nel giudicare e nel difenderci. Si tratta di frammenti di relazioni significative (personali, sociali, professionali) con forti conseguenze emotive.

In alcuni casi questa sorta di processo può prolungarsi per settimane, mesi: a volte anni. Troppo tempo e troppe energie si disperdono nella ricerca degli errori, delle giustificazioni e dei colpevoli.

- Quando il processo avviene in azienda: come interpretarlo secondo il Triangolo di Karpman.

A tale riguardo chi si occupa di leadership e management in ambito organizzativo, da consulente e formatore, si sarà probabilmente imbattuto nel cosiddetto triangolo drammatico di Karpman (per saperne di più clicca qui) ovvero un modello teorico che dà senso a dinamiche apparentemente irrazionali e dove i partecipanti, intrappolati come sono in ruoli accusatori - salvifici - vittimistici, intrecciano rapporti disfunzionali e logoranti. Si tratta di ruoli che danno origine a schemi comunicativi ripetitivi e prevedibili e che, a volte, sono scambiati l'un con l'altro, repentinamente, dagli interessati.

In altre circostanze sono assunti in maniera duratura. Non ci vogliono molti attori: spesso ne sono sufficienti appena due.1)

- Per cambiare si parte sempre dalla consapevolezza degli errori commessi.

Queste modalità disfunzionali non devono distrarre dal valore che possiede, in caso di eventi indesiderati (leggi insuccessi), la ricerca dell'errore, delle responsabilità, delle aree di intervento. Tale analisi è alla base di un reale processo di cambiamento.

Partiamo dal fatto che, si sa, cambiare non è agevole. Gran parte della resistenza ad intraprendere percorsi diversi dai soliti è originata dal fatto che cambiare vuol dire, in buona misura, partire proprio dalla riflessione sugli errori commessi. Il che significa riconoscere che l'insuccesso non è da attribuirsi, almeno non in toto, a fattori esterni: l'ambiente, le circostanze, la sfortuna, l'egoismo e le incapacità degli altri. Si ammette che l'esito imprevisto e indesiderato è dovuto anche ad errori personali.

Il secondo passo è individuare l'errore e farlo senza cedere a pregiudizi, ai retaggi di esperienze passate, a modi di leggere la realtà filtrati attraverso emozioni e stati d'animo. Altrimenti si rischia di scorgere l'errore in qualcuno o qualcosa che, invece, non hanno nulla a che fare con l'origine dell'evento indesiderato. 2)

Altre volte diventa più facile incolparsi che individuare le proprie effettive responsabilità. Dire o dirsi "E' tutta colpa mia", "Sono io che ho sbagliato", "Sicuramente ho sbagliato io" diventa una sorta di alibi manipolatorio nei riguardi degli altri e di se stessi. Il "processo" a cui si è tanto disposti a sottoporsi elude ogni vera riflessione sull'evento. Ci si agita soltanto e, in ultimo, si resta lì dove si è. Forse anche più indietro.

Non accontentarsi del "è colpa mia" costituisce il punto di partenza per un autentico percorso di cambiamento. Permane l'urgenza di riconoscere l'errore effettivo, quello da cui veramente è derivato l'insuccesso.

-Come può aiutarci, a tale riguardo, la Matrice delle svalutazioni.

Risulta utile adottare come riferimento, con i necessari adattamenti al contesto, la matrice delle svalutazioni. 3)

Per svalutazione intendiamo proprio ciò che dice la parola: non attribuire il giusto valore a qualcosa e ciò che si tratti di un evento o di una persona. Il problema, dunque, è l'esito di questa scarsa, o nulla, considerazione.

La matrice individua alcune aree specifiche in cui avviene la svalutazione:

  • esistenza del problema;
  • importanza del problema;
  • possibilità di cambiamento rispetto ad esso;
  • capacità di intervento nei suoi riguardi.

Quindi, in questa prospettiva, l'errore è l'esito del non avere tenuto nella giusta considerazione i segnali che indicavano il sopraggiungere della criticità.

La matrice permette di fare un passo ulteriore, evitando così ritardi e confusioni, portando a chiedersi che cosa sia stato effettivamente svalutato. Al riguardo le domande da porsi sono:

1. si è negata l'esistenza stessa dei segnali? Ovvero, non ci si è accorti del loro manifestarsi?

2. oppure, presa consapevolezza dei segnali, si è negata la loro importanza? Si annunciava la tempesta e la si è scambiata per un temporale passeggero?

3. o si sono identificati i segnali del problema e se ne è pure riconosciuto il valore. Solo che si è assunto, rispetto ad essi, un atteggiamento rinunciatario: come a dire "così devono andare le cose, aspettiamo che passi".

4. o, ancora, l'evento non era considerato inevitabile, insomma si poteva intervenire ma ci si è ritenuti incapaci a farlo.

La matrice delle svalutazioni fornisce indicazioni sul tipo di errore commesso e sulle modalità di intervento, per il management o per il consulente, sia rispetto a problemi attuali che per prevenire problemi futuri.

Se ti interessa approfondire vai a esempio.

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