Programmare e non “sognare”: occorre alzare il livello della riflessione. 

Alfonso Falanga, 07/01/2021

Non mi è mai piaciuto esprimermi in termini di "sogni" ... nel senso di "inseguire i propri sogni", "non smettere mai di sognare" .... Ho sempre preferito utilizzare, nello scrivere e nel pensare, "obiettivi", "programmi", "regole".

Né mi appartiene il ricorso ai vari slogan motivazionali che, particolarmente in azienda e nelle professioni, ci ossessionano (mi ossessionano) dagli anni '80/'90. Formule vuote, stereotipate, buone per tutti gli usi, fragorose esplosioni di un nulla. Adottate spesso anche di questi tempi, quando l'emergenza sanitaria, sociale e economica richiederebbe l'abbandono della "magia" e l'adozione, invece, di atteggiamenti orientati alla efficacia ed efficienza.

Proprio il bisogno di concretezza, se da un lato conduce al rifiuto del niente evocato dagli slogan e dal "non smettete mai di sognare", dall'altro porta con sé l'urgenza di mantenere alto il livello della riflessione, della discussione, del confronto. 

A ciò si aggancia la necessità di una accortezza sintattica e semantica nell'esporre, sia a voce che nello scrivere, il proprio pensiero. Proprio oggi, quando l'agitazione generale, forse dovuta proprio all'incertezza che ci avvolge, sembra che influisca sulla percezione del tempo: il che porta ad essere contratti proprio come se si comunicasse, in ogni occasione, attraverso una videochiamata o un twit.

Certo, il fenomeno è già in corso da qualche decennio, da quando il linguaggio dei social ha sostituito progressivamente quello convenzionale, parlato e scritto, generando un modo di esprimersi raffazzonato, spesso incomprensibile, zeppo di errori sintattici e di ambiguità semantiche.

La comunicazione, in tali circostanze, risponde più che altro all'esigenza di dire la propria, di sfogarsi; si parla per essere sentiti e si scrive per essere letti ma, in entrambi i casi, non si ha alcun interesse ad essere compresi.

L'approssimazione del pensiero, e delle forme espressive che ne derivano, è un segno dell'abbandonarsi all'incertezza.

La cura non è sognare bensì pensare. Sempre e sempre più in profondità. Farlo nel privato, nel sociale e, in modo specifico, nelle professioni. Farlo in azienda, il che si traduce nel non smettere di programmare, di porsi obiettivi sia a breve che a lungo termine, cercando ogni giorno l'equilibrio tra la consapevolezza che si sta navigando a vista e la necessità di immaginare scenari di più vasto respiro. Pensare, insomma, come strumento di lavoro e come esercizio mentale per esserci, pur se avvolti dall'incertezza.

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