Solo Eduardo può recitare Eduardo?
Alfonso Falanga, 4 febbraio 2025
Sono convinto che Eduardo De Filippo mai abbia scritto esclusivamente per se stesso. Mai pensando solo a se stesso come unico attore in grado di interpretare i personaggi intorno ai quali, nelle sue opere, ruota l'intera vicenda. Il solo Luca Cupiello possibile. Il solo Gennaro Jovine accettabile. L'unico Pasquale Lojacono degno. E così con Domenico Soriano (pur se da "spalla" a Filumena) … con Peppino Priore, e via di seguito.
Eduardo ha scritto per dare vita a personaggi che
incarnassero pregi e difetti riscontrabili, mediamente, nell'intera umanità.
Quei tratti caratteriali-caratteristici- che orientano la quotidianità di tutti
noi, che ne segnano i piccoli e i grandi gesti, che guidano comportamenti
minimi e complessi. L'umanità intera, dunque, e non solo la gente dei vicoli e
dei quartieri di Napoli. Anche se, spesso, è proprio dai vicoli che le sue
narrazioni hanno origine.
Progetto ambizioso, il suo? Forse, ma è stato in grado di
realizzarlo.
Eduardo De Filippo ha scritto per il pubblico. Per il teatro.
Teatro inteso come dimensione di vita, spazio culturale, strumento di indagine
della psiche umana. E, ovviamente, come fonte di piacere intellettuale,
emotivo, fisico.
L'opera di Eduardo appartiene al suo tempo e, insieme, lo
supera fino a diventare senza tempo: perciò, eterna.
In questa prospettiva il teatro di Eduardo può, deve,
ritenersi un classico.
Ecco che, allora, quando ci si approccia al classico per
reinterpretarlo inevitabilmente sorgono alcune questioni di particolare
rilievo, del tipo:
1. è lecito rivisitare la struttura tradizionale dell'opera?
2. è possibile innovare senza contravvenire al messaggio
dell'autore classico?
3. va sempre rispettata la tradizione?
4. è opportuno fare il confronto tra rappresentazione
originale e reinterpretazione?
Quesiti che, nel caso di Eduardo De Filippo, si condensano in
un unico grande interrogativo: solo Eduardo può recitare Eduardo?
La risposta, ovviamente, è no.
Vale per Eduardo così come per ogni autore classico. Anzi, la trasmissione
dell'opera attraverso gli anni e la sua diffusione oltre i limiti geografici
avvengono essenzialmente attraverso i suoi interpreti.
E poi, un prodotto artistico, una volta creato, non
appartiene più al suo autore. Ciò, comunque, non implica che si possa farne
l'uso che si vuole. La "libera proprietà" del prodotto, il suo essere
insomma di tutti e di nessuno, non significa che si possa arbitrariamente
dissolvere il suo nucleo fondante-culturale, filosofico, storico-sociale- in
nome della libertà di espressione- a volte tirata in ballo da chi dice qualcosa
senza avere la benché minima idea di cosa stia parlando-della molteplicità dei
gusti artistici, della varietà delle prospettive attraverso cui è possibile
interpretare la realtà e, dunque, anche un'opera d'arte.
A partire da quest'assunto,
allora è opportuno fissare alcuni princìpi che, in qualche modo, rappresentano
una risposta alle questioni di poc'anzi:
1. i gusti sono molteplici, e meno male. Il gusto è
personale. È legato alla propria storia, al proprio contesto socio-culturale,
al momento storico in cui ci si trova collocati, alla propria competenza
linguistica…
L'arte, però, è altro: ha un suo nucleo oggettivo e,
principalmente, ha il potere di metterci in contatto con emozioni e sensazioni
che non sperimentiamo in nessun'altra occasione, per quanto possa trattarsi di
circostanze piacevoli. L'arte, insomma, ci mostra quella zona oscura (non
perché malefica ma perché non è normalmente sperimentabile) della realtà e di
noi stessi con cui conviviamo, in genere, senza saperlo. Solo l'arte ce ne
rende coscienti.
L'arte, dunque, è tale se e solo se ci collega con ciò
a cui mai possiamo accedere con la sola ragione. O con quell'emotività che non
ci disorienta perché è quella che ci aspettiamo di provare in quella data
circostanza. All'arte non interessa il prevedibile. Non ha zone di comfort.
L'arte scuote. Sveglia. Disorienta.
Una commedia, perciò, può essere ben recitata, intelligente e
gradevole: ma non necessariamente è un'opera d'arte. Così un brano musicale. Un
libro. Un quadro. Una scultura.
2. Ogni opera teatrale è interpretabile: l'interpretazione,
però, deve evidenziarne gli aspetti più significativi o deve mostrarne nuovi.
La rivisitazione deve aggiungere, non togliere. O ridicolizzare. Purtroppo è quanto è accaduto,
in tempi recenti, alle opere eduardiane proposte in TV.
3. Spesso, quando ci si appresta ad assistere alla rilettura
di un'opera teatrale, si viene esortati- o ci si propone- a non fare confronti
tra la nuova versione e quella originale. Nel caso di Eduardo, è una costante.
Particolarmente, si invita a non assumere come riferimento lo stile attoriale
dell'Autore.
Perché? Per quale motivo all'artista che si assume l'onere e
l'onore di portare in scena un'opera eduardiana dovrebbe essere risparmiato il
confronto? Tra l'altro, il confronto non è tanto con Eduardo attore-autore,
bensì con i suoi personaggi e la loro simbologia: che si tratti di Filumena (essere speciale), di Pasquale Lojacono, di Gennaro e Amalia
Jovine, di Luca Cupiello e suo figlio Tommasino (figura spesso trascurata e
banalizzata nelle varie riletture di Natale in casa Cupiello), Peppino e Rosa Priore, giusto per citarne
alcuni…senza dimenticare personaggi solo in apparenza minori come, ad esempio,
Carmela 'a sorella do guardaporte in Questi fantasmi!...e lo stesso guardaporte, Raffaele. O Aglietiello, in Non ti pago.
In conclusione: tutti possono recitare Eduardo. A patto che
resti Eduardo!