"... pareva che l'amore prodigato per lo Svedese lo svuotasse di ogni sentimento. In questo ragazzo abbracciato da tanta gente come simbolo di speranza - come l'incarnazione della forza, della decisione e del valore baldanzoso che alla fine avrebbe avuto la meglio, permettendo ai ragazzi della nostra scuola che erano sotto le armi di tornare a casa illesi da Midway, Salerno, Cherbour, dalle Salomone, dalle Aleutine, da Tarawa - sembrava non esistere una goccia di spirito o di ironia che interferisse con il dono prezioso della sua responsabilità". (Philip Roth, Pastorale americana, tr. italiano di Vincenzo Mantovani, Einaudi, 2013, p. 7).




Si sa quanto Philip Roth (Newark, 19 marzo 1933 - New York, 22 maggio 2018) sia un autore ammirato in gran parte del mondo.

È, allo stesso tempo, alquanto curioso che sia tanto apprezzato anche nel suo paese e ciò dal momento che non ha mai mancato, particolarmente nelle sue opere più note, di puntare il dito verso le ipocrisie della società yankee e di farlo in modo tanto crudo e diretto da essere una vera e propria lama diretta verso il cuore del sistema socioculturale USA (con ampi riferimenti al più vasto modello occidentale).

In Pastorale americana, opera che gli è valso il premio Pulitzer nel 1997, la critica di Roth si svolge attraverso la figura di Seymour Levov, detto lo Svedese. Un personaggio, questo Seymour, che incarna l'ideale americano ovvero quel sistema valoriale intriso di perfezione e di tutto quanto ad essa rinvia: successo economico, bellezza, inserimento in società, notorietà, saldi principi morali (quelli americani, ovviamente). Una perfezione, quella di Seymour, che, però, non disorienta, non suscita invidie, non richiama propositi di vendetta da parte di chi perfetto non è e che non è oppressiva verso i "normali" e gli "imperfetti".

Si tratta, invece, di un insieme di tratti fisici, caratteriali, attitudinali che fanno dello Svedese il predestinato a svolgere un ruolo rassicurante e quasi di collante tra i vari pezzi di una società che, in quegli anni, è sconvolta dalla Seconda guerra mondiale. Seymour, con la sua sola apparizione per strada, in quel marasma di emozioni, paure, difficoltà materiali, sembra annunciare un gaio "Andrà tutto bene".

Roth, comunque, non rinvia il lettore molto più in là delle pagine iniziali prima di mostrare quanto la perfezione di Seymour sia solo una faticosa operazione di facciata e che il solo "apparire" perfetto gli costi un prezzo elevato in termini di carico emotivo e di effettive capacità effettivamente relazionali. Nonostante ciò, Seymour non si tira indietro rispetto al compito che la sua comunità, seppur indirettamente, gli ha affidato.

"... pareva che l'amore prodigato per lo Svedese lo svuotasse di ogni sentimento. In questo ragazzo abbracciato da tanta gente come simbolo di speranza - come l'incarnazione della forza, della decisione e del valore baldanzoso che alla fine avrebbe avuto la meglio, permettendo ai ragazzi della nostra scuola che erano sotto le armi di tornare a casa illesi da Midway, Salerno, Cherbour, dalle Salomone, dalle Aleutine, da Tarawa - sembrava non esistere una goccia di spirito o di ironia che interferisse con il dono prezioso della sua responsabilità". (Philip Roth, Pastorale americana, tr. italiano di Vincenzo Mantovani, Einaudi, 2013, p. 7).

Lo Svedese si svuota, insomma, si riduce ad un involucro, pur se uno splendido involucro, e tutto per meglio svolgere il suo compito che lo incatena alla storia, dice Roth, anzi lo rende uno strumento della storia (cfr. p. 8). Forse, ecco il dubbio che insinua l'autore, questa sua attitudine a svincolarsi da ogni passione è agevolata dal fatto che Seymour è già vuoto. Un vuoto ben riempito dall'apparenza. Un vuoto ben saturo, di apparenza.

Le vicende che riguardano Levov si dipanano seguendo costantemente il confronto tra apparenza e sostanza, tra luce e ombra, tra verità e inganno, tra perfezione e tragedia. Il tutto ha come testimone l'alterego di Roth, lo scrittore Nathan Zuckerman, presente anche in Ho sposato un comunista e La macchia umana.



Roth, tratteggiando i paradossi che annodano la vita del protagonista, va oltre la superfice scintillante e accattivante del "sogno" lasciando emergere quanto di doloroso, a volte tragico, essa nasconda.

Allo stesso tempo l'autore, attraverso questa sorta di voce fuori campo che appartiene a Nathan, ci mette sull'avviso ricordandoci che questo lento accostarsi alle imperfezioni non è agevole. Non è un'operazione in cui si sia immuni da equivoci, incomprensioni, errori. Non si è esenti dal rischio di essere avventati e superficiali mentre di vuole confutare proprio la semplicità e la sciatteria dei giudizi sulla vita, sugli altri, su come va il mondo. Roth lo dice chiaramente:

"Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarsi alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze di acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male"(p. 40).

Eppure, proprio questa incomprensione costituisce l'essenza della vita vera. Non riuscire a comprendere l'altro è di per sé uno squarcio nel velo della perfezione e della semplicità. L'impotenza di fronte all'inaccessibilità della mente altrui è il miglior espediente per evitare, o infrangere, l'illusione che il mondo sia abbordabile, comprensibile, prevedibile, benevolo.

Pastorale americana è un'opera che rimanda costantemente all'inganno delle apparenze, alle deformazioni generate dalla presunzione che bastino i contorni per conoscere i contenuti, che l'impressione sia più che sufficiente a dire "Io ti conosco e tu conosci me" e "Io mi conosco".


Le apparenze...Le prime impressioni...indicatori della perfezione, della semplicità, del tirare avanti sempre e comunque. Segni di una società che, se vuole continuare a sognare, deve ovviare a qualsiasi approfondimento: è questa la società del XX secolo e, aggiungiamo, del XXI secolo. È questa la società post-moderna.

"L'immagine che abbiamo uno dell'altro. Strati e strati di incomprensione. L'immagine che abbiamo di noi stessi. Vana. Presuntuosa. Completamente distorta. Ma noi tiriamo diritto e viviamo di queste immagini" (p. 69).

Questo passo evidenzia ulteriormente come Pastorale americana sia un'opera dove si parla anche dell'incomprensione reciproca e inevitabile che segna i rapporti umani e che destina ognuno a una sorta di esilio in cui non è si è soli perché si è sempre di troppo, così come lo è Iron Rinn (o Ira), il personaggio di Ho sposato un comunista:

"Ira non era tanto un perseguitato, cioè una persona costretta ad abbandonare il proprio posto, quanto una persona fuori posto, troppo grande, spiritualmente e fisicamente, per il posto che occupava". (Philip Roth, Ho sposato un comunista, tr. Vincenzo Mantovani, Einaudi, p. 195).

Pastorale americana è questo e tante altre cose. È una disamina del rapporto tra lo scrittore e l'arte dello scrivere ("Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l'illusione che un giorno, forse, l'imbroccherai", Philip Roth, Pastorale americana, p.68), è un romanzo storico, almeno della storia americana dal secondo dopoguerra in poi. È principalmente un coltello che affonda senza scrupoli nelle ferite causate dal sogno americano nel cittadino medio americano, nei vuoti emotivi e nelle distorsioni cognitive che esso copre con il manto della perfezione.


È anche una riflessione sul rapporto genitori-figli. Anzi, per lo Svedese il contrasto tra apparenza e sostanza, tra semplice e complesso, tra irreale e reale è rappresentato proprio dal rapporto-non rapporto con Merry, la figlia fin da piccola balbuziente e le cui difficoltà di linguaggio costituiscono la minaccia più seria alla perfezione che, agli occhi del mondo, illumina la vita dello Svedese e della moglie, Dawn Dweyer, anche lei perfetta e bella. Tanto bella da essere stata, da giovanissima, eletta Miss New Jersey (fase della sua vita che si traduce, per Dawn che aspira ad essere altro, in una vera e propria persecuzione) (la perfezione che diventa condanna a vita anche quando l'età, la sola età, basterebbe a infrangere tale illusione) (un'illusione, tra l'altro, già messa a dura prova dalle balbuzie di Merry, della sua ribellione, dell'attentato che ne deriva).

Merry, dal momento in cui si impone nella narrazione o, meglio, alla narrazione, è il perno su cui poggia tutta la storia. Ogni altra vicenda, qualsiasi altro personaggio (anche Seymour stesso, per non parlare di Dawn) diventa di contorno o comunque costituisce una derivazione dell'esistenza, e di tutte le conflittualità che reca con sé, di Merry. È con l'affacciarsi sulla scena della bambina, poi adolescente, poi giovane donna sempre e comunque ribelle contro l'intero sistema socioculturale-politico americano (ribellione diretta verso gli stessi genitori ritenuti, anzi, i principali esponenti delle nefandezze di cui, agli occhi di Merry, è macchiato quel sistema) che la vita dello Svedese si sgancia definitivamente dalle apparenze per procedere sui binari della cruda (crudele) realtà. Merry costringe la sostanza a emergere: impone al sogno americano di mostrarsi per quel che è. Un sogno, appunto, un bel sogno che, come tutti i sogni, o finisce (l'ipotesi più auspicabile) o si tramuta in incubo. E quello di Seymour Levov si traduce, appunto, in incubo.

In effetti, Pastorale americana è la storia di come un uomo lotti contro i retaggi di un passato imperniato sulla perfezione e lo fa "semplicemente" per rendersi idoneo a sostenere l'imperfezione che emerge ogni giorno dalla vita "normale". Per vivere l'incubo senza soccombere. Per imparare a sostenere la tragedia: lui, proprio lui, un uomo che sembrava essere destinato ad una vita tutt'altro che tragica.

"Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna, e ancor meno per l'impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l'impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l'incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell'uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti" (p. 94).

Eppure, è lecito individuare nel comportamento dello Svedese un residuo del sogno americano. Tracce di perfezione sono riscontrabili, ad esempio, proprio nella tenacia con cui Seymour fronteggia l'opposizione della figlia al sistema, quel sistema in cui Merry, come già detto, include tutto e tutti basta che sia qualcosa o qualcuno di americano se non addirittura, più ampiamente, di occidentale.

Seymour riconosce lo spessore della tragedia causata da Merry: non nega mai la crudeltà del gesto, mai lo giustifica, anzi se ne fa carico: infatti trascorre anni e anni a cercare di capire se e in che modo e misura egli abbia contribuito all'insorgere, nella figlia, di questa attitudine al male. Questa sua onestà intellettuale non gli impedisce di amare la figlia e di cercarla, per anni. Per sempre. La sua vita si traduce, di fatto, nella ricerca di Merry.

Seymour, una volta che la figlia scompare dalla sua vita per diventare una ricercata dall' FBI, non si rifà una vita senza Merry. A differenza di Dawn che, dopo un iniziale crollo emotivo, si riprende e riparte da zero: senza Merry e, alla fine, almeno sentimentalmente, senza Seymour. Nella caparbietà dello Svedese c'è, da un lato, la caparbietà del genitore perfetto-che ama sempre e comunque il figlio e che si ritiene sempre e comunque colpevole degli errori del figlio- e, dall'altro, l'ostinazione con cui, nell'immaginario a stelle e a strisce, l'americano tipo lotta contro i mali del mondo dovunque essi si annidino e specialmente se sono mai di ordine etico e morale.

Resta sullo sfondo il confronto-scontro tra sogno e realtà, dove quest'ultima è rappresentata dalla consapevolezza di Dawn che sa-come madre e come donna- che Merry è irrecuperabile. Anche nei riguardi di Dawn, comunque, Seymour non si arrende:

"Marry non vuole diventare grande. (Dawn).

Adesso, Oggi. Ma c'è il futuro. C'è un legame, tra noi, ed è fortissimo. Finché non la lasceremo andare, finché continueremo a dialogare, il futuro è ancora possibile" (Seymour) (p. 113).

Il solo ristoro per lo Svedese, la sola pausa che si concede dal confronto con la tragica attualità, è data dal ricordo. Egli si immerge nel passato al punto che il susseguirsi di immagini di avvenimenti lontani nel tempo diventa una sorta di dimensione parallela all'attualità: si tratta di un passato che, comunque, è esente da nostalgie e da rimpianti. È semplicemente un modo, quello di Seymour, di ricordarsi e di confermarsi che la sua vita e la sua identità non hanno come punto di partenza e punto di arrivo esclusivamente Merry e la sua azione tragica e criminale.


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