"La funzione
dell'apertura mentale è generare più opportunità di successo rispetto a quelle
che ogni professionista è in grado di ottenere agendo solo attraverso i suoi
automatismi".
L'obiettivo personale: come evitare lo stop and go-2° parte.
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In precedenza si è accennato a che l'obiettivo, e le relative priorità, devono risultare in linea con gli strumenti di cui si è dotati: mezzi materiali (esempio supporti tecnologici, prodotti di valore da offrire ai clienti, assistenza tecnica e commerciale) e immateriali (esempio formazione, competenze, attitudini relazionali).
Tra questi ultimi sono da inserire anche i meccanismi mentali che orientano i comportamenti, le scelte e, dunque, l'esito della performance. A tale riguardo parliamo di "apertura mentale" come vero e proprio strumento di lavoro al pari di qualsiasi altro mezzo, materiale o immateriale, adoperato per centrare il bersaglio.
Per apertura mentale qui intendiamo la capacità di analizzare i fatti tenendo il più possibile a freno distorsioni e pregiudizi.
I "fatti" in questione sono le reazioni degli interlocutori (clienti, colleghi, dipendenti, management), i risultati conseguiti, le circostanze in cui avviene la performance.
La funzione dell'apertura mentale è generare più opportunità di successo rispetto a quelle che ogni professionista è in grado di ottenere agendo solo attraverso i suoi automatismi.
L'apertura mentale, dunque, è la premessa indispensabile all'acquisizione di un metodo, dove per tale intendiamo un complesso di procedure e strategie fortemente distante dai comportamenti convenzionali (le cosiddette zone di comfort) e che, perciò, è possibile acquisire solo attraverso l'apprendimento.
Riflettere su distorsioni e pregiudizi chiama in causa alcuni meccanismi mentali così definiti:
- Generalizzazioni;
- Deformazioni;
- Cancellazioni.-2)
Analizziamoli singolarmente.
-Generalizzazione: è quel meccanismo mentale attraverso cui interpretiamo una parte per il tutto. Una sola esperienza, insomma, diventa tutte le esperienze.
Cerchiamo un chiarimento assumendo come riferimento un team di venditori telefonici, anche se si tratta di princìpi estendibili a qualsiasi settore professionale, le generalizzazioni più frequenti sono:
- I clienti mentono.
- I clienti non ti fanno parlare e staccano subito.
- Il lunedì è sempre così, tutti non mi interessa.
- Dipende dal cliente: se è interessato bene, altrimenti non c'è niente da fare.
Il fatto è che tal genere di idea si traduce, progressivamente, in una convinzione che ogni giorno si rafforza sempre un po' in più attraverso il sentito dire ("anche io la penso come te", "anche a me è successa la stessa cosa") o mediante quei meccanismi definiti generalmente profezia che si auto-adempie: a partire da una specifica idea - pregiudizio - si mettono in atto (inconsapevolmente?) micro-comportamenti che finiscono per confermare quel medesimo pregiudizio.
Giorno dopo giorno, dunque, quella idea diventa convinzione che si traduce in un comportamento complesso e consolidato.
L'idea di partenza perciò diventa:
- I clienti mentono. Che posso farci, se mentono? Aspetto il cliente che non mente.
- I clienti non ti fanno parlare e staccano subito. Che posso farci, quando staccano subito? Aspetto chi non stacca e mi fa parlare.
- Il lunedì è sempre così, tutti non mi interessa. Che posso farci, se il lunedì è sempre così? Aspetto il martedì.
- Dipende dal cliente: se è interessato bene, altrimenti non c'è niente da fare. Che posso farci, se non è interessato? Aspetto il cliente interessato.
-Deformazione: si tratta di quel meccanismo mentale attraverso il quale si distorce l'interpretazione dei fatti fino a farla coincidere con i pregiudizi di partenza.
Al riguardo, immaginiamo un frammento di comunicazione tra un teleseller (il cui pregiudizio sia "i clienti mentono sempre" o "tutti i clienti mentono") e un consumatore, dove il primo chieda:
-Quanto spende con il suo attuale gestore?
e il secondo risponda:
-10 euro e ho tutto quello che mi serve.
È lecito ipotizzare che il teleseller interpreti questa affermazione come una sicura menzogna e, di conseguenza, assuma un atteggiamento rinunciatario che può tradursi o in una reazione aggressiva (è impossibile!) o in un vera e propria chiusura della comunicazione (va bene, la saluto).
Il vero dilemma è che questi pensieri spesso non si riferiscono a un momento particolare (esempio una condizione di stress), dunque non sono uno sfogo che è circoscritto nel tempo, bensì si radicalizzano nella mappa mentale del venditore riferita ai clienti e alle opportunità di intervento nei confronti del cliente che mente. Diventano cioè vere e proprie convinzioni che, a loro volta, si traducono i specifici comportamenti disfunzionali (cioè non sbagliati in assoluto ma che, in merito a una trattativa commerciale, non funzionano).
I meccanismi mentali, con i relativi esiti comportamentali, attraverso cui si concretizza il passaggio sa "semplice" idea a convinzione e, da questa, a comportamento, sono essenzialmente:
- il pregiudizio (bias) di conferma.
"Assumere un atteggiamento rinunciatario non significa essere fatalisti: in quest'ultimo caso la persona trova sollievo rispetto al peso delle responsabilità o, comunque, non sperimenta emozioni particolarmente negative. Tale disposizione mentale non per forza è accompagnato da un calo di autostima.
L'atteggiamento rinunciatario, invece, è fonte di emozioni negative e di pensieri svalutativi nei riguardi di se stessi e degli altri: che poi emozioni e pensieri siano esiti o origini della rinuncia poco importa".
Si tratta di quella dinamica cognitiva attraverso cui l'attenzione si orienta esclusivamente sugli elementi di realtà che confermano il pregiudizio, svalutando tutto il resto.
- profezia che si auto-avvera.
Ovvero la messa in atto di micro-comportamenti, inconsapevoli e a volte consapevoli, che finiscono con il confermare la convinzione di partenza.
Tali meccanismi, se valutati a breve termine, ci sollevano da ogni responsabilità nei riguardi degli esiti delle nostre azioni. Dunque sono gratificanti.
A medio e lungo termine, però, lasciano emergere la dipendenza da fattori esterni e, perciò, la mancanza di controllo sugli eventi che ci riguardano e l'assenza di ogni potere di intervento nei loro riguardi. È la condizione emotivo-cognitiva sintetizzata con l'espressione Locus of control esterno: quello che ci accade, di buono e meno buono, è esito di condizioni ambientali, del volere e del potere altrui, del caso, della fortuna o della sfortuna.
Quando si è dotati di un locus of control esterno non si può fare altro che rinunciare, il che significa o abbandonare ogni perseguimento dei propri obiettivi, o non porseli proprio gli obiettivi e lasciare fare tutto al caso, o assumere-come reazione- atteggiamenti aggressivi e, sotto il profilo relazionale e a volte non solo, distruttivi.
Assumere un atteggiamento rinunciatario non significa essere fatalisti: in quest'ultimo caso la persona trova sollievo rispetto al peso delle responsabilità o, comunque, non sperimenta emozioni particolarmente negative. Tale disposizione mentale non per forza è accompagnato da un calo di autostima.
L'atteggiamento rinunciatario, invece, è fonte di emozioni negative e di pensieri svalutativi nei riguardi di se stessi e degli altri: che poi emozioni e pensieri siano esiti o origini della rinuncia poco importa.
Facciamo un esempio di pregiudizi che si traducono in comportamenti passivi. Al riguardo assumiamo come riferimento la prospettiva del teleseller:
- I clienti
- ...mentono. Aspetto chi non mente.
- ... sono stanchi di ricevere telefonate. Aspetto chi non è stanco.
- ... non ti fanno parlare. Aspetto chi mi fa parlare.
Questo esempio indica l'affermazione di un Locus of control esterno: tale prospettiva, a breve termine, è rassicurante e de-responsabilizzante.
A medio e lungo termine, invece, produce:
- calo di autostima.
- uno stato di inerzia e di stagnazione, se non di vera regressione.
- abbandono dell'attività ("questo lavoro non fa per me").
-Cancellazione: dinamica attraverso cui ignoriamo del tutto parti di realtà, proprio quelle che, se recuperate, consentono di acquisire una visione più ampia e concreta dei fatti e delle proprie capacità di intervento rispetto ad essi, favorendo, così, il trasferimento del locus of control dall'esterno all'interno. Con ciò che ne consegue in potenziamento dell'autostima.
Assumiamo come riferimento gli esempi precedenti, evidenziando in corsivo il pezzo di realtà cancellato e che, una volta recuperato, favorisce consapevolezza e capacità d'azione.
- I clienti mentono. Quindi devo imparare a trattare con il cliente che mente o immagino che menta.
- I clienti sono stanchi di ricevere telefonate/ sempre la stessa telefonata. Quindi devo imparare a distinguermi.
- I clienti non ti fanno parlare, se non sei interessante. Ecco perché devo essere professionale.
- Il lunedì quanti non mi interessa. Ecco perché devo imparare a gestire questo tipo di resistenza.
Un ultimo suggerimento riguarda la realizzazione di una sorta di agenda delle idee o mappa mentale, settimanale, che così schematizziamo:
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In sintesi si tratta di rispondere, ogni giorno una volta terminato il lavoro, a queste domande:
- oggi qual è stata l'idea che, più di altre, ha orientato il mio lavoro?
- a partire da questa idea, qual è stato il mio comportamento prevalente (verso clienti, colleghi, dipendenti, ecc.)? Aggressivo? Compiacente? Assertivo? Collaborativo? Di indifferenza?
- con quale risultato?
- se l'esito è stato insoddisfacente, quali erano le alternative possibili?
Con un investimento di dieci minuti giornalieri si ha modo, al termine della settimana, di avere un quadro completo della mappa mentale che, almeno quella settimana, ha orientato lo svolgimento del proprio ruolo professionale. Si ha visione degli esiti, del loro grado di coerenza con l'obiettivo professionale e delle possibili opzioni.
Fine.
2. Cfr. R. Bandler, J. Grinder, La struttura della magia, Astrolabio..