Albert Camus, Nozze (Noces, 1954), in L'estate e altri saggi solari, tr. Caterina Pastura, Bompiani, 2013 (edizione digitale).
Nozze a Tipasa
"…verso le prime rocce che il mare succhia con un mormorio di baci", p. 28.
"Poverissimi sono coloro che hanno bisogno di miti. Qui gli dei servono da letto o da punto di riferimento nella corsa dei giorni. Io descrivo e dico: «Questo è rosso, è blu, è verde. Questo è mare, montagna, fiori». Che bisogno ho di parlare di Dioniso per dire che mi piace schiacciare le bacche di lentischio sotto il naso?", p. 29.
"Non restavo mai più di un giorno a Tipasa. Viene sempre un momento in cui si è visto troppo un paesaggio, così come è necessario molto tempo prima di averlo visto abbastanza. Le montagne, il cielo, il mare sono come volti in cui si scopre l'aridità o lo splendore a forza di guardare invece che di vedere. Ma ogni volto, per essere eloquente, deve subire un certo rinnovamento. E ci si lamenta di stancarsi troppo rapidamente mentre bisognerebbe meravigliarsi che il mondo ci appaia nuovo solamente perché è stato dimenticato", p. 32.
"No, non ero io che contavo, né il mondo, ma soltanto l'accordo e il silenzio che fra il mondo e me faceva nascere l'amore. Amore che non avevo la debolezza di rivendicare per me solo, cosciente e orgoglioso di esserne partecipe con tutta una razza nata dal sole e dal mare, viva e saporosa, che attinge la propria grandezza dalla semplicità e in piedi sulle spiagge rivolge il proprio sorriso complice al sorriso splendente dei cieli", p. 32.
Il vento a Djemila.
"Nella gran confusione del vento e del sole che mescola alle rovine la luce, si forgia qualcosa che dà all'uomo la misura della sua identità con la solitudine e col silenzio della città morta", p. 33

L'estate ad Algeri.
"Senza dubbio bisogna vivere molto tempo a Algeri per capire in quale modo un eccesso di beni naturali può inaridire. Non c'è nulla qui per chi voglia imparare, educarsi o diventare migliore. Questo paese è senza insegnamenti. Non promette e nemmeno fa intravedere. Si accontenta di dare, ma a profusione. È interamente presente agli occhi e lo si conosce dall'istante in cui se ne gode", p. 39.
"Si capisce allora che sia nato da questo paese, dove tutto vien dato per essere tolto. In questa abbondanza e in questa profusione, la vita segue la curva delle grandi passioni, improvvise, esigenti, generose", p. 44.
"I doni della bellezza fisica gli sono stati prodigati. E con essi, la singolare avidità che sempre accompagna questa ricchezza senza futuro. Ogni cosa fatta qui mostra il disgusto della stabilità e la noncuranza del futuro", p. 46.
"Imparo che non esiste felicità sovrumana, né eternità fuori dalla curva dei giorni. Questi beni irrisori ed essenziali, queste verità relative sono le sole che mi commuovono. Le altre, le «verità ideali», non ho abbastanza anima per capirle", p.47.
"Perché la speranza, al contrario di quel che si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi", p. 48.
L'esilio di Elena
"Per i Greci i valori preesistevano a ogni azione e ne segnavano i limiti. La filosofia moderna colloca i propri valori al termine dell'azione. I valori non sono, divengono, e li conosceremo interamente solo al compiersi della storia. Coi valori, sparisce il limite e dal momento che le concezioni differiscono su quel ch'essi saranno, dal momento che non c'è lotta che, senza il freno di quegli stessi valori, non si estenda all'infinito, oggi i messianismi si affrontano e i loro clamori si fondono nell'urto degli imperi. Secondo Eraclito, la dismisura è un incendio. L'incendio avanza. Nietzsche è superato. L'Europa non filosofeggia più a colpi di martello, ma di cannone", p. 93.
L'enigma
"…non esiste nichilismo totale allo stesso modo che non esiste materialismo assoluto, dal momento che per formare questa parola occorre già dire che nel mondo c'è qualcosa di più della materia. A partire dall'istante in cui si dice che è tutto un controsenso, si esprime qualcosa che ha un senso", p. 99.
"…gli uomini hanno imparato da millenni a salutare la vita anche nella sofferenza", p. 99.
Ritorno a Tipasa
"…uno che ha avuto una volta la fortuna di amare intensamente passa la vita a cercare di nuovo quell'ardore e quella luce. La rinuncia alla bellezza e alla felicità sessuale che ad essa è legata, il servire esclusivamente l'infelicità, richiede una grandezza che mi manca", p. 103.
"…saziavo le due seti che non si possono ingannare per molto tempo senza che l'essere inaridisca: amare, cioè, e ammirare. Perché non essere amati è solo fortuna: non amare è sventura", p. 106.
"Imparavo finalmente, nel cuore dell'inverno, che c'era in me un'invincibile estate", p. 106.

Giornale di bordo
"Di tanto in tanto le onde guaiscono sotto la prua; una schiuma amara e untuosa, saliva degli dèi, cola lungo il legno fin nell'acqua dove si sparpaglia in disegni morenti e rinascenti, pelame di mucca bianca e turchina, animale esausto che ancora a lungo va alla deriva della nostra scia", p. 110.
"A mezzogiorno, sotto un sole assordante, il mare, spossato, si solleva appena. Quando ricade su se stesso, fa sibilare il silenzio. Dopo un'ora di cottura, l'acqua pallida, grande lamina di latta arroventata, crepita. Crepita, fuma e finalmente brucia. Fra un istante si volterà per offrire al sole la faccia umida, adesso nelle onde e nelle tenebre", p. 111.
"Quel giorno capii che c'erano due verità, una delle quali non doveva mai essere detta", p. 113.
"Un brusco amore, una grande opera, un atto decisivo, un pensiero che trasfigura, in certi momenti danno la stessa intollerabile ansia, e al tempo stesso posseggono un'attrattiva irresistibile. Deliziosa angoscia di essere, prossimità squisita di un pericolo di cui non conosciamo il nome, vivere allora è correre alla propria perdita? Di nuovo, senza tregua, corriamo alla nostra perita.
In alto mare ho sempre avuto l'impressione di vivere, minacciato, nel cuore di una felicità da re", p. 116.
È possibile una nuova cultura mediterranea?
"A uomini mediterranei è necessaria una politica mediterranea. Non vogliamo vivere di favole. Nel mondo di violenza e di morte che ci circonda, non c'è posto per la speranza. Ma c'è forse posto per la civiltà, quella vera, che antepone la verità alla favola, la vita al sogno. E questa civiltà non sa che farsene della speranza. L'uomo ci vive le sue verità", p. 124.