Marguerite Duras, L'amante (L'Amant, 1984), tr. Leonella Prato Caruso, Feltrinelli, 1996.

"La ragazza con il cappello di feltro è immersa nella luce limacciosa del fiume, sola sul ponte del battello, appoggiata al parapetto. IL cappello da uomo dà un tocco di rosa a tutta la scena, è la sola nota di colore. Nel sole brumoso, il sole dell'afa, le rive non si vedono, sembra che il fiume tocchi l'orizzonte. Scorre sordo, senza far rumore, come sangue che circoli nelle vene", p. 13.
"Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è", p. 14.
"Il rumore della città è fortissimo, lo risento come il sonoro di un film tenuto troppo alto, assordante. Ricordo bene, la stanza è in penombra, circondata dal frastuono continuo della città, fluttuante nella città, nella corsa della città. Rimaniamo in silenzio. Non ci sono vetri alle finestre, solo tende e persiane, sulle tende si vedono le ombre di chi passa nel sole sul marciapiede, una fitta folla di ombre striate dalle stecche delle persiane. Gli zoccoli di legno ci rimbombano in testa, le voci sono stridule; la lingua cinese è una lingua gridata, come mi sono sempre immaginata le lingue dei deserti, una lingua incredibilmente remota", p. 25.
"Ho guardato mia madre e ho stentato a riconoscerla. E poi, in una specie di improvviso annebbiamento, di caduta, non l'ho riconosciuta più. A un tratto avevo vicino una persona seduta al posto di mia madre che non era mia madre, ne aveva l'aspetto ma non era mai stata mia madre. Se ne stava inebetita guardando il parco, in un punto del parco, come se spiasse l'imminenza di un avvenimento che non percepivo. C'era in lei una giovinezza di lineamenti, di sguardo, una felicità repressa da una lunga abitudine al pudore. Era bella", p. 53.
"Le partenze erano tutte uguali, come le prime partenze sui mari. Il distacco dalla terra avveniva sempre nel dolore e nella disperazione, ma questo non aveva mai impedito agli uomini di mettersi in viaggio, agli ebrei, ai pensatori, a chi amava i viaggi per mare, e non aveva neppure impedito alle donne di lasciarli andare, alle donne che non viaggiavano mai, che rimanevano a custodire il luogo natale, la razza, i beni, la ragion d'essere del ritorno[…]Si era abituati alle lente velocità umane per terra e per mare, ai ritardi, all'attesa del vento, delle schiarite, dei naufragi, del sole, della morte. I piroscafi che la ragazza bianca conosceva erano ormai gli ultimi corrieri del mondo", p. 67.





Marguerite Duras, Il viceconsole (Le Vice-Consul, 1966), tr. Angelo Morino, Feltrinelli, 2023.

"«Avrei detto, vedendo la sua espressione prima che parlasse, che aveva negli occhi…che guardava qualcosa che aveva perduto, che lui aveva perduto…di recente…che guardava questa cosa in modo indefinito…un'idea forse, il naufragio di un'idea…Adesso, non so più».
«La sventura fa questo effetto, non credi?».
«Non credo», dice lei, «che quell'uomo sia, figuriamoci, la sventura. Che cosa potrebbe aver perduto senza che ne restasse traccia?».
«Tutto forse?»"
, p. 102.
"Il parco odora di melma, è sicuramente la bassa marea. Il profumo viscoso degli oleandri e il lezzo insipido della melma, seguendo i movimenti lentissimi nell'aria, si mescolano, si separano", p. 107.
"È la prima volta che vede nascere il giorno qui. In lontananza, palme azzurre. La riva del Gange, i lebbrosi e i cani uniti in un groviglio formano la prima cinta, larga, la prima della città. I morti di fame sono più lontano, nel brulichio denso del nord, formano l'ultima cinta. La luce è crepuscolare, non assomiglia a nessun'altra. In una sofferenza infinita, individuo per individuo, la città si risveglia", p. 109.
"Immensa distesa di acquitrini che mille argini attraversano ovunque. Sugli argini, dappertutto, si sgranano, in fila indiana, rosari di persone dalle mani nude. L'orizzonte è un filo dritto come prima degli alberi o dopo il diluvio. A volte, come altrove, durante le schiarite che succedono ai temporali attraversati, file di palme azzurre si levano sopra l'acqua. Ci sono individui che camminano, portano pacchi, bidoni, bambini oppure non portano nulla", p. 116.
"La pelle del viso è scura, di cuoio, gli occhi stanno in fondo a nidi di rughe di sole. Il cranio è ricoperto di un sudiciume bruno come un casco. Il corpo magro è modellato nel vestito fradicio. Il sorriso senza fine atterrisce", p. 136.

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