Albert Camus, La peste, (La Peste, 1947), tr. Beniamino Dal Fabbro, Bompiani, 1976
Albert Camus, La peste, (La Peste, 1947), tr. Beniamino Dal Fabbro, Bompiani, 1976


"Era appunto quel sentimento dell'esilio quel vuoto che portavamo costantemente in noi, quella precisa emozione, il desiderio irragionevole di tornare indietro o invece di affrettare il cammino del tempo, queste due ardenti frecce della memoria. Se talvolta ci lasciavamo andare alla fantasia e ci si illudeva di aspettare la scampanellata del ritorno o un passo familiare per le scale, se, in quei momenti, si era d'accordo nel dimenticare che i treni erano immobili, se ci si disponeva allora per restare in casa nell'ora in cui normalmente un viaggiatore portato dal diretto poteva giungere nel nostro quartiere, tali giochi, beninteso, non potevano durare. Veniva sempre il momento in cui ci si accorgeva che i treni non arrivavano; sapevamo allora che la nostra separazione era destinata a durare e che dovevamo cercare di venire a patti con il tempo", p. 59.

"Si, c'era nella sciagura una parte di astratto e di irreale. Ma quando l'astratto comincia a ucciderti, bisogna ben occuparsi dell'astratto", p. 73.


"«Ero giovane e il mio disgusto credeva di rivolgersi all'ordine stesso del mondo. Poi, sono diventato più modesto. Semplicemente, non sono sempre abituato a veder morire. Non so nient'altro, Ma dopo tutto…».

«Dopo tutto?» disse piano Tarrou.

«Dopo tutto» ricominciò il dottore, ancora esitando, con lo sguardo attento su Tarrou, «è una cosa che un uomo come lei può capire, nevvero, ma se l'ordine del mondo è regolato dalla morte, forse val meglio per Dio che non si creda in lui e che si lotti con tutte le nostre forze contro la morte, senza levare gli occhi verso il cielo dove lui tace».

«Sì», approvò Tarrou «posso capire. Ma le vostre vittorie, ecco, saranno sempre provvisorie».

Rieux sembrò rattristarsi.

«Sempre, lo so. Ma non è una ragione per smettere la lotta».

«No, non è una ragione. Ma immagino allora cosa dev'essere questa peste per lei».

«Sì», disse Rieux «un'interminabile sconfitta», p. 105.


"…ma il narratore è piuttosto tentato a credere che dando troppa importanza alle buone azioni, si finisce col rendere un omaggio indiretto e potente al male; allora, infatti, si lascia supporre che le buone azioni non hanno pregio che in quanto sono rare e che la malvagità e l'indifferenza determinano assai più frequentemente le azioni degli uomini […] Il male che è nel mondo viene quasi sempre dall'ignoranza, e la buona volontà può fare guai quanto la malvagità, se non è illuminata", p. 107.

"Ma arriva sempre un momento nella storia in cui chi osa dire che due più due fa quattro è punito con la morte. E la questione non è di sapere quale sia la ricompensa o la punizione che spetta a tale ragionamento. La questione è di sapere se due più due, si o no, fa quattro", pp. 108-109.

"Dal mare agitato e sempre invisibile saliva un odore d'alghe e di sale; e la città deserta, abitata dalla polvere, satura di odori marini, tutta sonora dei gridi del vento, gemeva allora come un'isola maledetta", p. 138.


"La grande città silenziosa non era più, allora, che un complesso di cubi massicci e inerti, tra i quali le taciturne effigi di benefattori dimenticati o d'antichi grandi uomini soffocati nel bronzo sedevano sole, coi loro visi finti di pietra o di metallo, a evocare una sminuita immagine di quello che era stato l'uomo. Quei mediocri idoli troneggiavano sotto un cielo spesso, nei quadrivi senza vita, insensibili bruti che ben figuravano l'immobile regno in cui eravamo entrati o almeno il suo ordine estremo, quello d'una necropoli n cui la peste, la pietra e la notte avrebbero finito col far tacere ogni voce", p. 141.


"…l'abitudine alla disperazione è peggiore della disperazione stessa", p. 150.

"…bisogna dirlo, la peste aveva tolto a tutti la facoltà dell'amore e anche dell'amicizia; l'amore, infatti richiede un po' di futuro, e per noi non c'erano che attimi", p. 150.

"E alla fine ci si accorge che nessuno è realmente capace di pensare a un altro, foss'anche nella peggiore delle sventure. Infatti, pensare realmente a qualcuno, è pensarci minuto per minuto, senza essere distratto d nulla, né dalle faccende domestiche, né dal volo di una mosca, né dai pasti, né da un prurito. Ma ci sono sempre mosche e pruriti. Per questo la vita è difficile da vivere e loro lo sanno", p. 199.

"È il microbo ad essere naturale. Il resto, la salute, l'integrità, la purezza, se lei vuole, sono l'effetto della volontà e d'una volontà che non si deve mai fermare. L'uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha meno distrazioni che può. È ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti…", p. 209.

"Tutta l città si riversò fuori per festeggiare il minuto d'oppressione in cui il tempo della sofferenza finiva e quello dell'oblio ancora non era incominciato", p. 244.


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