Albert Camus, Il mito di Sisifo, Le Mythe de Sisyphe, 1947, tr. Attilio Borrelli, Bompiani, 1980.
"Qual è, dunque, quell'imponderabile sensazione che priva lo spirito del sonno necessario alla sua vita? Un mondo che possa essere spiegato, sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa, in un universo subitamente spogliato di illusioni e di luci, l'uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l'uomo e la sua vita, fra l'attore e la scena, è propriamente il senso dell'assurdo. Poiché tutti gli uomini sani hanno pensato al suicidio, si potrà riconoscere, senza ulteriori spiegazioni, che esiste un legame diretto fra questo sentimento e l'aspirazione al nulla", pp. 9-10.
"Come le grandi opere, i sentimenti profondi significano sempre più di quanto non abbiano coscienza di esprimere. La costanza di un impulso o di una repulsione, in una anima, si ritrova in abitudini di fare o di pensare, si manifesta in conseguenze che l'anima stessa ignora", p. 14.
"Di che cosa, infatti, posso dire: «Io lo conosco!»? […]Se tento, infatti, di afferrare questo di cui sono certo, se cerco di definirlo e compendialo, esso non è più che acqua che scorre tra le mie dita […] L'abisso che c'è tra la certezza della mia esistenza e il contenuto che tento di dare a questa sicurezza, non sarà mai colmato", p. 21.
"Capisco allora che, se posso afferrare con la scienza i fenomeni ed enumerarli, non posso comprendere altrettanto bene il mondo. Anche quando, con un dito, ne avrò interamente seguito il rilievo, non ne saprò di più", p. 22.
"Pensare non è più unificare, render familiare l'apparenza sotto l'aspetto di un grande principio; pensare è imparare nuovamente a vedere, a essere attenti, è dirigere la propria coscienza, fare di ogni idea e di ogni immagine, alla maniera di Proust, un luogo privilegiato", p. 27.
"A due uomini che vivano lo stesso numero di anni, il mondo fornisce sempre la stessa somma di esperienze. Siamo noi che dobbiamo essere coscienti. Sentire la propria vita, la propria rivolta e la propria libertà il più intensamente possibile, equivale a vivere il più possibile", pp. 57-58.
"Un uomo è tale più per le cose che tace che per quelle che dice", p. 80
"Viene sempre il momento in cui bisogna scegliere fra la contemplazione e l'azione. Ciò si chiama diventare un uomo. Questi strappi sono sempre terribili, ma per un cuor fiero non vi può essere via di mezzo. C'è Dio o il tempo, la croce o la spada. O il mondo ha un senso più alto, che supera le sue agitazioni, o nulla è vero al di fuori di tali agitazioni", p. 82.
"Essere privi di speranza non vuol dire disperare", p. 86.
"Essi non cercano di essere migliori: tentano di essere coerenti", p. 87.
"E dell'amore la creazione romanzesca ha lo stupore iniziale e la ruminazione feconda", p. 98.
"È in questa fondamentale ambiguità che consiste il segreto di Kafka. Le sue perpetue alternative tra il naturale e lo straordinario, il tragico e il quotidiano, l'assurdo e il logico si ritrovano in tutta la sua opera e gli danno, insieme, la sua risonanza e il suo significato", p. 127.
