Quando l'obiettivo si trasforma in una ossessione
cosa ci insegnano, al riguardo, le vicende del capitano Achab
Alfonso Falanga, 22 settembre 2025
"Certo, è difficilmente figurabile un leader che, nell'esplicitazione del suo ruolo, giunga al grado di follia delirante del comandante del Pequod, che sacrifica tutto e tutti alla cattura di Moby Dick.
Eppure, a volte, le decisioni della leadership possono risultare estremamente lesive alle istanze del collettivo senza che il danno risulti immediatamente tangibile in tutta la sua criticità. Quel danno che, presto o tardi, comunque, tangibile lo diventerà e in modo tragicamente irreversibile"

«Che vi hanno detto di lui? Ditemi questo!».
«Non hanno detto molto di lui, sotto nessun riguardo; ho sentito soltanto che è un buon cacciatore e un buon capitano per l'equipaggio».
«E' vero, è vero: si, tutte e due le cose sono abbastanza vere. Ma dovete scattare, se dà un ordine. Muoversi e mugugnare, mugugnare e filare: è la parola d'ordine del capitano Achab»".
Herman Melville, Moby Dick o la Balena (Moby Dick or The Whale, 1851), tr. Cesare Pavese, Adelphi, 2002.
Anche chi non ha letto Moby Dick o la balena bianca molto probabilmente ne conosce il nucleo narrativo. Sa chi è il capitano Achab e qual è l'oggetto della sua ossessione: il grosso cetaceo bianco con cui egli si scontrò in mare aperto e che, privandolo di una gamba, lo rese invalido.
Achab e Moby Dick sono figure mitiche collocate in qualche modo nella nostra memoria storico-culturale con tutto il loro valore simbolico pur se con ruoli altalenanti, proprio come ce li presenta lo stesso Melville.
C'è un momento, infatti, in cui il comandante del Pequod è rappresentato alla stregua di un valoroso che, come gran parte degli eroi popolari, è impegnato in una strenua lotta contro il Male. Egli, in tale prospettiva, diventa una sorta di angelo vendicatore che affronta un demone sceso in terra (anzi, in mare) per distruggere ogni esempio di umanità che abbia la mala sorte di incrociarlo: il demone, inutile sottolinearlo, è Moby Dick.
"Tutto ciò che più tormenta e sconvolge la ragione...tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, ogni male, per l'insensato Achab era visibilmente personificato e fatto praticamente raggiungibile in Moby Dick", p. 205.
In un altro momento, invece, è la balena bianca ad essere la vittima della follia di Achab. È, in quest'ottica, il capitano a condensare in sé le più acute espressioni del Male: egoismo, disprezzo e crudeltà verso ogni essere vivente (compreso se stesso), esasperato senso di giustizia (una giustizia i cui parametri sono da lui, e solo da lui, stabiliti), riduzione del mondo al suo mondo.
"...ma io sono demoniaco, sono la pazzia impazzita! Quella fiera pazzia che è soltanto calma per comprendere se stessa! La profezia diceva che io sarei stato mutilato, e…Sì! Ho perduta la gamba. Io profetizzo adesso che mutilerò il mio mutilatore. E così dunque siano il profeta e l'esecutore un essere solo. Questo è più di ciò che voi, o grandi dèi, foste mai", p. 190.
Quel che qui più ci interessa è cogliere qualche spunto di riflessione, a partire dalle vicende che coinvolgono Achab e Moby Dick, sull'esercizio della leadership all'interno di una collettività (azienda, compagine politica, organizzazione sportiva, società).
Per avviare la nostra riflessione, partiamo da un ulteriore quesito: chi assumerebbe il capitano per affidargli la gestione del proprio gruppo? Ovvero, c'è qualcuno che lo vorrebbe collocato in un ruolo dirigenziale nell'organigramma organizzativo? Che lo vorrebbe dirigente sportivo? Che gli affiderebbe il destino di una collettività? In una griglia di valutazione, insomma, quali sarebbero i punti forti ed i punti deboli del candidato Achab?
Quel che viene da chiedersi, a questo punto, è se sia sempre cosa buona e giusta che un leader sia tanto determinato nel raggiungimento del traguardo. Se sia lodevole a prescindere essere sempre e comunque dotati di un impellente, irrefrenabile e vigoroso bisogno di agire in funzione dell'obiettivo. Se, insomma, la caparbietà sia, a prescindere, una qualità caratteriale sempre e comunque auspicabile in chi copra ruoli significativi per il destino del gruppo e dei soggetti che vi appartengono.
È indubbio che quel che distingue il comandante del Pequod è la sua estrema focalizzazione sull'obiettivo, cioè il suo destinare ogni risorsa personale e altrui, materiale ed immateriale, alla cattura della balena bianca. In sintesi, il suo non mollare mai, costi quel che costi. Chiamiamola caparbietà, forte motivazione, elevato livello di concentrazione o altro di simile.

Quel che viene da chiedersi, a questo punto, è se sia sempre cosa buona e giusta che un leader sia tanto determinato nel raggiungimento del traguardo. Se sia lodevole a prescindere essere sempre e comunque dotati di un impellente, irrefrenabile e vigoroso bisogno di agire in funzione dell'obiettivo. Se, insomma, la caparbietà sia, a prescindere, una qualità caratteriale sempre e comunque auspicabile in chi copra ruoli significativi per il destino del gruppo e dei soggetti che vi appartengono.
Certo, è difficilmente figurabile un leader che, nell'esplicitazione del suo ruolo, giunga al grado di follia delirante del comandante del Pequod, che sacrifica tutto e tutti alla cattura di Moby Dick.
Eppure, a volte, le decisioni della leadership possono risultare estremamente lesive alle istanze del collettivo senza necessariamente giungere alla drammaticità senza che il danno risulti immediatamente tangibile in tutta la sua criticità. Quel danno che, presto o tardi, comunque, tangibile lo diventerà e in modo tragicamente irreversibile.[1]
Quel che attraverso la vicenda di Achab emerge è quanto sia rischioso che un leader traduca il raggiungimento del traguardo in una ossessione. Ovvero in una immagine guida- accompagnata da forti emozioni oscillanti tra entusiasmo e frustrazione- che assorba ogni altra rappresentazione della realtà, che attiri verso di sé qualsiasi energia fisica e mentale, che assimili tutte le risorse materiali disponibili, che semplifichi eccessivamente la complessità degli eventi, che riduca il processo di cambiamento esclusivamente al raggiungimento, ad ogni costo, della meta. Che trasformi il desiderio in realtà e il dialogo, tra sé e con gli altri, un susseguirsi di espressioni deliranti (nel senso di confusione e assimilazione tra realtà e desiderio). E che l'idea di partenza, perciò, diventi ideologia.
In tal caso, l'insistenza sostituisce il metodo. Anzi, diventa essa stessa metodo: lo strumento adoperato per centrare il bersaglio, perciò, si traduce automaticamente in bersaglio da centrare.
Quando l'insistenza prevale è forte il rischio di continuare a sbagliare: anzi, si sbaglia di più e meglio. Ci si mette più energia nel riproporre lo stesso comportamento anche se si è verificato che quel medesimo comportamento ha condotto all'insuccesso.
Si ripropone, dunque, con maggiore convinzione e "bravura" l'errore sperando che la reiterazione, da sola, basti a modificare gli esiti indesiderati.
Insomma, quando un leader è ossessivamente concentrato sull'obiettivo è facile che perda di vista:
a. le priorità, ovvero cosa fare per realizzare la meta (cioè, l'elaborazione di metodi e strategie) e non soltanto quale meta raggiungere e perché è importante raggiungerla. Dunque, si concentra esclusivamente sul risultato perdendo di vista il processo che è necessario seguire per realizzare quel risultato;
b. il contesto in cui opera.
Per contesto intendiamo sia l'ambiente interno (risorse materiali e risorse umane disponibili, competenze, struttura gerarchica, sistema relazionale, clima organizzativo) che il mondo esterno.
In tal caso, il leader percepisce sé e il gruppo come abitanti di un'isola deserta separata da immensi oceani dal resto del mondo (un mondo, intanto, in rapido mutamento).
Il modello d'azione di un tale leader sarà centrato, come già detto, sull'insistenza ovvero sulla reiterazione di un medesimo comportamento e ciò a prescindere dal risultato.
Si tratterà di un comportamento orientato da pregiudizi e zone di comfort e, perciò, del tutto privo di un esame di realtà: sarà un agire dove prevalgono emozioni e le attitudini caratteriali più che la conoscenza e la competenza.
Si sconfina nel delirio, insomma, che non vuol dire che si sia di fronte-necessariamente- a un comportamento patologico ma certamente a un comportamento disfunzionale ai fini della vita del gruppo.
Tale è un comportamento dettato da automatismi e interessi personali, più che da metodi e strategie apprese.
L'esperienza personale, così, non illumina più il cammino ma si trasforma in un cunicolo buio in cui, alla fine, ci si perde; o, se si preferisce, in un vortice che tutto e tutti inesorabilmente risucchia, come accade ad Achab e al suo sfortunato equipaggio.
E, allora, che le parole di Melville siano da monito per quei leader che, ossessionati dall'obiettivo, proseguono imperterriti nel loro cammino incuranti dei molteplici segnali inviati dalla realtà, segnali ignorati solo perché non conformi alle proprie idee e convinzioni:
"Il rampone venne scagliato; la balena colpita filò innanzi, e con velocità da far faville la lenza scorse nella scanalatura; s'imbrogliò. Achab si piegò a disimpegnarla, la disimpegnò; ma la svolta volante lo prese intorno al collo e, senza una parola, come i Muti turchi strangolano la vittima, venne strappato dalla lancia prima che l'equipaggio s'accorgesse che non c'era più….E allora cerchi concentrici afferrarono anche la lancia solitaria e tutto l'equipaggio e ogni remo fluttuante e ogni palo e, facendo girare le cose vive e quelle inanimate, tutto intorno in un vortice, trascinarono anche il più piccolo avanzo del «Pequod» fuori vista. …poi tutto ricadde, e il gran sudario del mare tornò a stendersi come si stendeva cinquemila anni fa", pp. 569-570.
[1] Sono vere fake news le credenze secondo cui tutto si risolve, tranne che la morte e meglio tardi che mai. No, ad alcuni problemi non c'è rimedio o il rimedio è piu' costoso del problema. Perché, quando è tardi, è tardi e basta.